Il problema antropologico in Sicilia del buttare la spazzatura
Si lascia il proprio sacchetto solo e soltanto nel primo recipiente comodo, fino a farne piramide, e nessuno si sforza di allungare di cinque passi dove trovarne un altro
Per carità di Patria non si dice dove di preciso ma in Sicilia – e comunque in uno dei siti dell’assoluta magnificenza – persiste l’incombere della spazzatura nonostante la presenza di regolari cassonetti messi a disposizione degli indigeni. Ce ne sono in abbondanza di raccoglitori, uno ogni dieci metri, eppure sono quasi tutti vuoti eccetto quelli collocati agli incroci: ben più che pieni, stracolmi. Circondati da rifiuti di ogni genere, i cassonetti, spariscono sotto colline maleodoranti traboccanti ogni lordura. Fino a segnare l’orizzonte tutto di cielo blu e paesaggio. Tutti ciò mentre gli altri raccoglitori, collocati più avanti lungo l’asse viario, restano vuoti. Ognuno, infatti, lascia il proprio sacchetto solo e soltanto nel primo recipiente comodo, fino a farne piramide, e nessuno si sforza di allungare di cinque passi dove trovarne un altro, regolarmente vuoto. La risposta al perché mai nessuno vada a gettare la spazzatura nel cassonetto vuoto forse è nell’etologia, quasi un voler tracciare il territorio, ma purtroppo la questione è tutta antropologica: noi siciliani ci siamo ridotti così. Neppure ce ne rendiamo conto. Il minimo del minimo di civiltà, ormai, lo cataloghiamo nell’indifferenziata. “La Sicilia ai siciliani” recita lo slogan di Rosario Crocetta. Appunto. Si vede, anzi: si sente.
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