La Fata dell'Acacia e Dioniso
Con un solo verso di Dino Campana ebbe a districare in lei “l’ansia del segreto delle stelle”
Traveggole, più che rotte aeree, quelle che la Fata dell’Acacia, ieri, aveva, a non volerne sapere di rivedere il suo alunno più devoto, Dioniso, e rimandarlo al più a settembre. Dimenticandolo alla stazione ferroviaria di Orvieto, come fosse niente, per farlo trasparente come l’aria, sferzato dall’abbandono, vergognoso – ebbene sì, vergognoso – di essere soltanto un poeta (e non il sole, quel bel gran sole che di nessuno ha bisogno). Traveggole, dunque, aveva la fata mentre si attardava a verbalizzare sul registro tutte le insufficienze e le assenze dello scolaro quando questi – pur sempre lysios, abile a sciogliere, sebbene vergognoso – con un solo verso di Dino Campana ebbe a districare in lei “l’ansia del segreto delle stelle”, tutto il chinarsi sull’abisso che è proprio di lei, e delle stelle.
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