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Foto Pixabay
Dove c'è Margherita, io arrivo
Le urla del Maestro, dalla lettiga che se lo voleva portare via, al reparto psichiatria
Tutti qui vogliono grandi cose e io, urlava Maestro, io voglio l’amore. Gli somministravano Lexotan in vena, un infermiere perfino la camicia di forza gli stringeva da dietro e anche se Azazello – ben nascosto – gli scioglieva i nodi, già con il suo vigore, Maestro, non si faceva costringere. Dalla lettiga che se lo voleva portare via, al reparto psichiatria, soffiava se stesso: dove voglio, vado, urlava; dove mi piega il dolore, vado, urlava; e vinco, urlava. Lo tenevano fermo, l’ambulanza avviava la sirena e lui, ripeteva: torno dove parte il mio arco e vinco; e resto dove tutto si sana – dove c’è Margherita – e dove se ne resta lei, io arrivo. “Ma io possiedo l’abisso” gli diceva Woland, seduto accanto a lui mentre ieri, al quartiere Prati, a Roma, gli avvocati in pausa pranzo s’attardavano presso i ristoranti cercando d’incamerare il refrigerio dell’aria condizionata e Margherita, coi suoi fascicoli d’udienza sotto braccio, davanti a un piatto di melone in fette – come a un banchetto di grandi cose – diceva a se stessa: “Giacché mai, d’ora in avanti, sarà mai per sempre”.
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