L'ultimo gong per Teòfilo Stevenson

    L'ultimo gong l'ha raggiunto nella sua Cuba, a 60 anni. Dopo 321 incontri e ben 302 vittorie, Teofilo Stevenson esce dal ring della vita ed entra in quello più ristretto della memoria.
    Tre ori olimpici (72, 76, 80), tre mondiali di cui quello del 74 centrato proprio nella sua isola, di fronte al suo pubblico. Questo il suo curriculum sportivo.

    Poi c'è un altro curriculum, tutto personale, che racconta di un rifiuto portato con la stessa eleganza con cui mandava a segno i suoi colpi. Anni settanta, guerra fredda, tensione alle stelle. Anche lo sport gioca un ruolo cruciale. Difficile dire di no alla propaganda. Ancora di più farlo di fronte a Mohammad Ali e a cinque milioni di dollari: ultimo, disperato tentativo di un'America per ristabilire una supremazia che le stava sfuggendo di mano. Nello spazio come in pista, seminata dai russi e da un altro cubano illustre ed elegante, Alberto Juantorena.

    Arrivò la proposta, e con lei, implicita, la decisione di abbandonare il dilettantismo in favore del professionismo. Manager si misero all'opera per quello che avrebbe dovuto essere il match del secolo. La notizia sorprese Teofilo nella sua palestra. “Cosa sono cinque milioni di dollari in confronto all'amore di otto milioni di cubani”, disse, e rifiutò. E in quella palestra è rimasto fino alla fine, a insegnare boxe a chi è venuto dopo di lui, a spiegar loro che non si può stare su di un ring se prima non si è imparato a stare al mondo. (Ronald Giammò)