Niente (più) sesso, siamo cinesi

    Le coste del Guandong, nel sud-est della Cina, sono diventate celebri in tutto il mondo per due peculiarità: la produzione manifatturiera e tecnologica da discount e il mercato del divertimento. Lavoro massacrante per i lavoratori locali e notti sfrenate per gli avventori mondiali. Interi quartieri del centro ospitano ogni sorta di intrattenimento, specialmente di carattere sessuale. Bordelli di infima qualità, night, discoteche dove tutto è permesso, grandi resort del sesso hanno, nell'ultimo decennio, movimentato le notti delle città costiere. Tutta la Cina sapeva e a tutti stava bene così, perché i turisti arrivavano a flotte e ritornavano al loro paese soddisfatti, l'economia girava, grossi introiti entravano nelle casse dei potenti delle zone. Solo a Dongguan, megalopoli-distretto di oltre 8 milioni di abitanti, si stima che la prostituzione dia lavoro a oltre 300 mila persone: una città nella città, che frutta all'economia circa il 10% degli introiti. Sommersi ovviamente perché la prostituzione è ancora reato. Un problema che però non esisteva in quanto il Partito osservava, controllava, infine annuiva con il capo, silenziosamente. Almeno sino a quando il governo centrale ha deciso di farsi moralizzatore e ha avviato la lotta agli sprechi e alla corruzione. Ecco quindi arrivare la polizia nei bordelli e nelle case chiuse della provincia. E così, il presidente Xi Jinping, anziché farne un business legalizzato, si è deciso a sradicare degrado e licenziosità nei conglomerati industriali. La polizia ha iniziato a sgomberare case di appuntamenti, arrestare prostitute e boss locali, gestori di locali e servizio d'ordine, utilizzando molto spesso le maniere forti.