Cent'anni di Bartali
Bartali è stato interpretato da Francesco Favino in una fiction Rai
Lo scambio di borraccia (in realtà era una bottiglia) più famosa della storia
Oggi Gino Bartali compirebbe cent'anni. Lo chiamavano Ginettaccio, per via dei modi burberi, sicuramente, e di quella cattiveria agonistica, di quello scatto infernale che lasciava i suoi avversari annaspare in salita. Gino ha vinto tanto nella sua carriera, tre Giri d'Italia, due Tour de France, a dieci anni di distanza, come mai nessuno è riuscito nella storia. Gino poteva vincere di più, molto di più, se la guerra non gli avesse fatto perdere i cinque anni della maturità agonistica, quelli nei quali un campione è nel pieno delle sue forze e ha abbastanza esperienza per gestire il talento.
Gino ha diviso un paese. Lui e Fausto Coppi, non solo corridori, immagini e simboli di un'Italia che usciva dal secondo conflitto mondiale distrutta e cercava un modo di sognare, di identificarsi in qualcosa. Lui cattolico, per il Papa, Fausto anche, ma in silenzio, investito di un aura di progresso, che sapeva di Pci, almeno per i suoi tifosi. Gino che fumava e beveva, che faceva baldoria con gli amici di sempre nelle osterie di Ponte a Ema, suo eremo e feudo, Fausto che programmava, si allenava con fare scientifico, ricercava posizioni in sella e migliorie a cronometro. Gino che ride ma solo tra i suoi, che in pubblico è scontroso, a volte, e borbotta, sempre, "perché toscano", come diceva il suo fido gregario Renzo Zanazzi, "non per cattiveria o boria".
Gino Bartali è morto nel 2000, dopo una vita passata in bicicletta, prima, e le tra biciclette, poi. Sempre a borbottare, parlare di quell'amore per il ciclismo che lo ha accompagnato per tutta la vita. L'anno scorso è stato inserito tra i "Giusti tra le Nazioni", perché, motiva lo Yad Vashem, il museo sull'Olocausto, da "cattolico devoto, nel corso dell'occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l'arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa". Si è scoperto dopo la sua morte, perché Gino non l'aveva detto mai a nessuno, "perché bisogna parlare delle cose importanti e le cose importanti sono le biciclette e le storie con gli amici", come diceva.