Roma, le inchieste, la Metro C e i moralizzatori che finiscono moralizzati
Roma. Stavolta la bomba d’acqua quasi quasi s’è fatta vedere, a Roma, ma il temporale vero era arrivato, sotto forma di procedimento giudiziario nei confronti di Maurizio Venafro, capo di gabinetto alla regione (dimessosi dopo aver appreso di essere indagato per presunta turbativa d’asta nell’inchiesta “Mafia Capitale”) e di Guido Improta, assessore comunale alla Mobilità e uomo-chiave della giunta Marino per i grandi temi (Bilancio, Giubileo), finito nel fascicolo d’inchiesta sulla Metro C per presunta truffa aggravata. Improta ha smentito, ha detto che non gli era arrivato nessun avviso, che voleva andare avanti e non sapeva di che cosa lo si stesse accusando, e che la sua unica colpa poteva essere quella “di aver messo i treni sopra i binari”– solo che nel fascicolo Metro C c’era anche Ercole Incalza, “l’uomo nero” delle intercettazioni di questi giorni, e per gli indignados preventivi, del web e non, era sufficiente a invocare “dimissioni, dimissioni”.
[**Video_box_2**]Metro C, dunque, cioè il futuro che avanzava, questo era sembrato l’eterno cantiere (non più del tutto cantiere) al momento del taglio del nastro sul primo tratto, per la verità funestato da qualche imprevisto: il treno che non arrivava al capolinea, il sindaco che saliva e scendeva due volte, il comunicato ufficiale che minimizzava: “Il treno si è fermato solo alcuni minuti per consentire la soluzione di un problema tecnico proprio per evitare limitazioni e completare la corsa…”. Metro C, dunque, e Mobilità: simboli di un’amministrazione che voleva pedalare (piste ciclabili, pedonalizzazioni), sogno del sindaco “marziano” per autodefinizione e “populista urbano” alla Bill de Blasio per afferenza. Non ci devono essere due città in una, diceva Marino come l’omologo al di là dell’oceano, in quel di New York. Niente fossato tra poveri e ricchi, tutti devono poter godere della nuova Roma senza troppe automobili e troppe sperequazioni. Solo che la dickensiana “tales of two cities”, nel caso di Marino, si era presto trasformata in “tale of two parties”, con il Pd diviso in antimariniani e mariniani obtorto collo. Fino all’evento avverso che ha fatto di Marino (per il Pd) l’unica scialuppa possibile: “Mafia Capitale”, qualche nome dell’amministrazione coinvolto (anche un assessore), e il sindaco che sdegnato dice “io non c’entro”. E a quel punto tutti con Marino, nel Pd commissariato, con Matteo Orfini commissario. Ma oggi, con due nuovi nomi finiti sui giornali, e con Orfini che, di fronte agli indignados, si appella al “giudicare nel merito” e caso per caso, c’è chi (nel Pd) dice “questo è il nostro 11 settembre”. E in effetti. Ma come?, devono pensare nel partito, ci siamo fatti paladini della legalità, abbiamo fatto pulizia, con Fabrizio Barca a fare indagini nei circoli, e abbiamo messo magistrati ovunque (un Alfonso Sabella qui, un Raffaele Cantone là), mostrandoci non più così garantisti (con gli altri), e ora ci tocca pure fare la parte dei moralizzatori moralizzati?
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