La via unilaterale
Bruxelles. Matteo Renzi ieri ha chiesto all’Unione europea di concludere con i paesi africani patti simili a quelli con la Turchia per gestire la crisi dei migranti. Ma, tra lentezza delle procedure comunitarie, divisioni dei Ventotto e ostilità di alcuni paesi come l’Austria, l’Italia potrebbe essere costretta a fare da sola, a muoversi unilateralmente per fermare l’ondata migratoria che si annuncia dalla Libia. Dall’inizio dell’anno – secondo i dati dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu aggiornati al 13 aprile – più di 24 mila persone hanno attraversato il Mediterraneo centrale arrivando sulle coste italiane. Il numero è destinato a salire.
Le cifre sono “allarmanti”, ha spiegato mercoledì il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. L’Austria ipotizza uno scenario di 300 mila arrivi per giustificare le misure che potrebbero portare alla chiusura del Brennero. Ma le soluzioni messe in piedi o immaginate finora dall’Ue lasciano l’Italia da sola. “Il post Dublino è tutto sui rifugiati, non sui migranti economici”, riconosce una fonte diplomatica. Tra quelli arrivati in Italia “non ci sono siriani”, ha spiegato Tusk: “Ci sono cittadini dei paesi africani, come Nigeria, Somalia, Gambia, Guinea e Costa d’Avorio”. In altre parole, migranti economici per i quali non è prevista alcuna “relocation” che permetta di alleggerire il peso sull’Italia. Con Dublino ancora in vigore, se i flussi dalla Libia dovessero impennarsi, l’Italia sarà costretta a tenersi i migranti. Altrimenti Austria e Francia chiuderanno i confini.
“La dimensione esterna della politica migratoria assume oggi un ruolo fondamentale anche in rapporto alla tenuta di Schengen e al principio della libera circolazione”, ha scritto Renzi nella lettera a Tusk e Jean-Claude Juncker che accompagna il non-paper italiano per dar vita a una strategia Ue per l’azione esterna sulle migrazioni. “La gestione dei flussi non è più sostenibile senza una cooperazione mirata e rafforzata con i paesi terzi di provenienza e di transito”. In sostanza, Renzi vuole replicare con i paesi africani quanto fatto con la Turchia: soldi in cambio di rimpatri e stop alle partenze. La richiesta all’Ue è di gestire e finanziare un “piano straordinario di rimpatri” e di un “supporto legale, logistico, finanziario e infrastrutturale per la gestione dei flussi nei paesi partner anche con uno screening accurato in loco tra rifugiati e migranti economici”. Ma, oltre al tempo, serviranno “un sacco di soldi”, ammettono fonti italiane: “Finché non ci sono infrastrutture giuridiche e fisiche nei paesi terzi, non si può rimpatriare nessuno”.
La ricerca di un consenso europeo sia su Dublino-Schengen sia sulla dimensione esterna delle politiche migratorie appare impossibile. Sulla riforma di Dublino, l’Italia ha trovato pochi alleati – Germania, Grecia, Malta, Svezia e Olanda – per sostenere la proposta più ambiziosa della Commissione di redistribuire tra i 28 tutti i richiedenti asilo al loro arrivo in Europa. Sulla Libia, alla riunione di lunedì dei ministri degli Esteri Ue, l’Italia chiederà di passare alla fase superiore della missione Sofia, con l’ingresso nelle acque territoriali delle navi europee per fare la guerra agli scafisti. Ma c’è un ostacolo giuridico – mancano richiesta del governo libico e mandato Onu – e i migranti intercettati potrebbero comunque finire in Italia perché la Libia non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Paradossalmente, secondo alcuni analisti, la parziale stabilizzazione libica è causa dell’aumento dei flussi.
Per ora Renzi non contempla un blocco navale. Ma la via unilaterale potrebbe essere l’unica che permetta di fermare le partenze, anche in caso di deviazione della rotta verso l’Albania o la Libia (per ora non c’è) provocata dall’accordo con la Turchia. Un alleato c’è. Secondo Tusk, la futura Agenzia di guardacoste europea dovrà “fermare e controllare” i migranti: lanciarsi nella “stessa azione controversa che applichiamo ora” in Grecia.
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