Il problema del sud è che ci sono più emigranti che immigrati
Tra il 2002 e il 2017 oltre due milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno. Intanto il pil scende e la disoccupazione cresce
Sono più quelli che vanno di quelli che arrivano. Nel sud Italia, approdo di centinaia di migranti ogni mese, l’accoglienza è periodicamente sotto scacco. Un fatto di numeri, dato che non è semplice trovare un posto letto e un piatto caldo per tutti. Nulla a che vedere però con il numero di emigranti italiani che salgono al nord o approdano oltre frontiera. Le anticipazioni del rapporto Svimez 2019, presentate oggi, ribaltano l’immaginario comune dell’invasione di profughi e stranieri, e ci restituiscono la realtà dei flussi interni al nostro paese. Tra il 2002 e il 2017, infatti, oltre due milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno; 132 mila nel solo 2017. La metà di chi ha deciso di emigrare due anni fa è giovane (50,4 per cento), e tra loro 21 mila sono laureati. Il saldo tra chi è arrivato e chi ha lasciato il sud Italia è negativo di 70 mila unità per il 2017, mentre se consideriamo gli anni a partire dal 2002, si parla di 852 mila persone che mancano all’appello. Al meridione, dunque, servirebbe quasi un milione di persone in più per equilibrare la bilancia di partenze e arrivi. Sebbene il numero di cittadini stranieri che si sono trasferiti nel meridione cresca di anno in anno – erano 65 mila nel 2015, sono 75 mila due anni dopo –, gli emigranti viaggiano sulle sei cifre e dal 2015 in avanti non sono mai scesi sotto alle 124 mila unità.
Secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno “la ripresa dei flussi migratori rappresenta la vera emergenza meridionale”. L’emigrazione al sud, infatti, determina una perdita di popolazione giovanile e qualificata; la classe dirigente del futuro preferisce vivere all’estero o nel nord del paese, con l’ovvia conseguenza di un ritardato rilancio dei progetti territoriali e di uno spopolamento progressivo dei centri urbani, in particolare quelli sotto i 5 mila abitanti.
Ma l’emigrazione non è l’unico problema del meridione. Lo spettro della recessione si aggira per il Mezzogiorno. L’indagine della Svimez disegna un quadro fosco per quanto riguarda lo sviluppo economico. Le previsioni dell’associazione presentano un andamento negativo per il pil del meridione nel 2019, che dovrebbe segnare un meno 3 per cento, mentre quello del centro-nord dovrebbe crescere, anche se di poco (più 3 per cento). Il sud sia affaccia dunque sul precipizio della recessione, da cui era lentamente fugato negli scorsi anni grazie al trend espansivo che ha guidato l’economia a partire dal 2014. La Svimez ascrive le cause di queste prospettive non incoraggianti alla congiuntura internazionale caratterizzata da una “decelerazione del commercio mondiale”. Sul piano interno sarà invece la diminuzione di investimenti e prestiti alle banche ad affossare il sud.
Un’altra criticità riguarda il lavoro. Sebbene gli ultimi dati Istat sull’occupazione siano i migliori dal 2012, la situazione nel meridione è più complessa. Negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 gli occupati al sud sono calati di 107 mila unità (-1,7 per cento), mentre nel centro-nord, nello stesso periodo, gli occupati sono cresciuti di 48 mila unità (+0,3 per cento). La qualità del lavoro nel meridione è sempre più scarsa. I contratti a tempo indeterminato nel meridione hanno subito una significativa flessione (-2,3 per cento), mentre nelle regioni centro-settentrionali sono aumentati dello 0,5 per cento. Per contro, i contratti a tempo determinato sono aumentati al sud e diminuiti al nord. Secondo lo Svimez il gap occupazionale rispetto al centro-nord nel 2018 è stato pari a quasi 3 milioni di persone. “La metà di questi sono lavoratori altamente qualificati e con capacità cognitive elevate”, fa notare l’Associazione.
Ma lo spettro della recessione si può evitare. Il sud non è il problema italiano; ma è il problema italiano che si accentua nel meridione. Per questo, consiglia lo Svimez, invece di perseguire soluzioni divisive in un’ottica contrapposta tra nord e Mezzogiorno, bisogna rilanciare gli “investimenti pubblici (…) in un’ottica di integrazione e reciproci vantaggi tra le aree del paese”. Il sud, dunque, può essere rilanciato solo nell’ambito di una ben più ampia strategia nazionale. Per non dire europea.
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