Michelle veste Kenzo, ma Shinzo Abe preferisce il presidente indonesiano

Giulia Pompili
La morte di Lee Kuan Yew, il fondatore di Singapore, scomparso lunedì scorso a 91 anni, ha scosso tutta l’Asia. Messaggi di condoglianze sono giunti anche dalla Corea del nord che ha chiamato Lee “un grande amico” del paese.


     

     

    L’eredità di un gigante. La morte di Lee Kuan Yew, il fondatore di Singapore, scomparso lunedì scorso a 91 anni, ha scosso tutta l’Asia. Messaggi di condoglianze sono giunti anche dalla Corea del nord che ha chiamato Lee “un grande amico” del paese. Questo nonostante da alcune intercettazioni del 2009 fosse emerso che Lee chiamava i nordcoreani “degli psicopatici” guidati da un “flabby old chap”, cioè un soggetto pittoresco come leader. Al funerale di Lee, che si celebrerà domenica 29 marzo dopo sette giorni di lutto nazionale nella sua città-stato, parteciperanno quasi tutti i capi di stato del Pacifico: un evento geopolitico.

     

    Pivot russo. L’altro grande evento è quello per la celebrazione del 70esimo anniversario della vittoria dei russi contro i nazisti. Alla festa organizzata dal Cremlino a Mosca è stato già invitato Kim Jong-un, e secondo più fonti il leader nordcoreano ha davvero intenzione di partecipare – sarebbe il suo primo viaggio di stato all’estero da quando ha assunto il potere a Pyongyang nel dicembre del 2011. Ma ieri l’ambasciatore russo a Seul, Alexander Timonin, ha fatto sapere di più: durante un’intervista con la Kbs sudcoreana, ha detto che c’è la possibilità che all’evento e agli incontri a margine tra capi di stato partecipi anche la presidente sudcoreana Park Geun-hye. Se davvero fosse così, se i leader delle due Coree si trovassero nella stessa città nelle stesse ore, sarebbe uno storico successo di mediazione diplomatica della Russia che sarebbe riuscita dove l’America ha sempre fallito.

     

    L’antiamericanismo giapponese monta. Il governatore di Okinawa, Takeshi Onaga, è riuscito ieri a bloccare, almeno momentaneamente, i lavori di ampliamento della base americana di Futenma. Nelle scorse settimane c’erano state molte proteste fuori dalla base militare, alcune piuttosto violente. La controversia rischia di complicare la visita di stato di Shinzo Abe a Washington, i primi giorni di maggio.

     

    Altro che Expo / 1. Il cibo italiano va alla grande in Corea del nord. Al settimanale nordcoreano Tongil Sinbo, ripreso da Nknews, lo racconta la cameriera di un ristorante italiano di Pyongyang. Ri Bong Nyo dice che prima c’era un solo ristorante – il più famoso, aperto nel 2008, i cui cuochi furono mandati per tre mesi in Italia per studiare le ricette – ora le strade della capitale nordcoreana sono piene di posti dove mangiare pizza e spaghetti. Una delle pizze più popolari è quella con il kimchi, piatto tradizionale coreano a base di verdure e spezie.

     

    Altro che Expo / 2. La Corea del sud ha qualche problema con la sponsorizzazione dei suoi piatti tradizionali all’estero. Racconta il Global Post che “fino a pochi anni fa, le legioni di americani amanti del cibo non avevano mai sentito parlare di bulgogi o del kimchi, delizie coreane che ora sono disponibili nella maggior parte delle città. Il sushi è così anni Ottanta”. E in effetti quello che è successo per il cibo giapponese, per i piatti sudcoreani non funziona. La differenza è che se quella del sushi è stata un’esportazione culturale ed esotica naturale, nel caso di Seul abbiamo assistito a un programma di sponsorizzazione a tappe forzate da parte dei funzionari del governo. Che non sempre ci azzeccano. Nel 2008 è stato promosso un poco scientifico studio del ministero dell’Alimentazione di Seul che dimostrava come nutrirsi di kimchi, bibimbap e bulgogi aumentasse la produzione di sperma più di una dieta a base di hamburger e patatine. Nel 2013 il governo ha stanziato quasi 20 milioni di dollari nel programma “Globalization of Hansik”, la globalizzazione dei piatti coreani.

     

    Photo opportunity. La scorsa settimana la first lady americana, Michelle Obama, ha riparato al danno combinato nel 2014, quando durante la visita di Obama in Giappone lei andò in vacanza in Cina con le figlie. Michelle questa volta è stata a Tokyo e poi a Kyoto, ha indossato dei vestiti Kenzo e ha usato la giusta inclinazione del busto per omaggiare la coppia imperiale.

     

    Dopo la partenza di Michelle, a Tokyo è arrivato il presidente indonesiano Joko Widodo. Una settimana di summit sostanziosi. Jokowi ha chiesto al Giappone di fare la sua parte per il progresso indonesiano, Toyota e Suzuki si sono messe a disposizione, i due presidenti hanno firmato accordi di cooperazione militare e tecnologica. Jokowi è poi partito per Pechino.

     

    Pechino piglia tutto. Per convincere i paesi europei ad aderire alla Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib) la Cina sarebbe disposta a rinunciare al diritto di veto sulle decisioni della Banca, scrive il Wsj (diritto di veto che l’America ha nel Fondo monetario internazionale). Australia e Corea del sud sarebbero a bordo, il Giappone sta valutando con cautela la sua posizione.
    Giulia Pompili

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.