A Tokyo Abe sponsorizza l'accordo sul commercio (ma non era contrario?)

Giulia Pompili
Vincitori e vinti. Ma soprattutto vincitori, tipo il Vietnam

    L’Asse Tokyo-Washington. Nel 2011 durante i primi colloqui sul Trans Pacific Partnership al governo di Tokyo c’era il Partito democratico di Naoto Kan. A quel tempo, il Partito liberal democratico oggi guidato da Shinzo Abe era fermamente contrario all’ipotesi che il Giappone facesse parte del trattato sul commercio. Poi, nel luglio del 2013, fu proprio Abe a ufficializzare che il paese si sarebbe seduto al tavolo con gli altri dodici. Da allora il settore che più ha protestato contro l’accordo è quello agricolo, che subirà riforme strutturali. Specie le lobby dei produttori di riso – quelle che avranno più da perdere dall’accordo, ma la concorrenza abbasserà i prezzi dei generi alimentari e aumenterà, si spera, i consumi. In questa fase, naturalmente, il recente raggiungimento dell’accordo per il Tpp ha un significato geopolitico importante: l’alleanza tra Tokyo e Washington è sempre più forte, dopo la riforma della Difesa, ed è sempre più in chiave anti cinese. Lo ha detto perfino Abe: “Il Tpp è stato creato da paesi che condividono valori, che credono nella democrazia liberale, nei diritti umani fondamentali e nello stato di diritto”. Per Tokyo il Tpp aiuterà il raggiungimento di un simile accordo anche con l’Europa. All’Expo di Milano, per esempio, sono intervenuti tutti i governatori delle province giapponesi, e ognuno di loro ha rinnovato l’invito a discutere con Bruxelles.
    L’economia jap in affanno e rilancio. In tutto questo, il governo di Shinzo Abe continua ad avere un po’ di problemi. I membri dell’opposizione della Dieta hanno chiesto un’assemblea straordinaria per discutere sia il patto di commercio appena approvato sia il rimpasto di governo. Non è chiara, infatti, la mossa di Abe: mercoledì ha cambiato quasi la metà dei suoi ministri, ufficialmente per dare il via alla nuova fase del governo. Dopo il successo portato a casa con la riforma della Difesa giapponese, il programma è quello di tornare all’economia. Abe ha detto di voler far crescere il paese portando il pil a 5 migliaia di miliardi, prendendo di petto soprattutto la questione della bassa natalità e dell’invecchiamento della popolazione. Per farlo, ha istituito un nuovo ministero  guidato da Katsunobu Kato il cui obiettivo sarà letteralmente: “Ichi-oku So-Katsuyaku”, che vuol dire più o meno “cento milioni di persone avranno un ruolo attivo” (nella crescita del paese).

     

    Chi ci guadagna? Sui giornali internazionali si susseguono proiezioni: quale paese godrà di più dei vantaggi del Tpp? La risposta è univoca: il Vietnam e la Malesia. Ma soprattutto il Vietnam. Gli economisti del Credit Swiss hanno fatto il lavoro sporco e hanno messo insieme i numeri. Secondo un report, l’accordo – se ratificato da tutti i parlamenti – coinvolgerà il 40 per cento della produzione globale ed eliminerà 18 mila tariffe.Le stime del Peterson Institute dicono che il pil di Hanoi, entro i prossimi dieci anni, crescerà del dieci per cento, un dato che arriverà al 14 per cento se al Tpp si uniranno anche Corea, Indonesia, Filippine e Thailandia. Questo perché l’esportazione di tessili, abbigliamento e calzature verso l’America si sposterà da Cina e Thailandia al più conveniente Vietnam. Quando però si parla di “democrazia liberale” (cit. Abe), il governo di Hanoi ha ancora molta strada da fare. Obama ha promesso che il Tpp obbligherà le aziende vietnamite a dotarsi di sindacati indipendenti. Fino a oggi, il Partito comunista al governo permette solo a uomini del partito di farsi portavoce delle istanze dei lavoratori. In passato, chi ha tentato di denunciare indipendentemente condizioni di lavoro precarie è stato arrestato. Inoltre, strette dalla concorrenza, molte aziende vietnamite saranno costrette a chiudere. RadioFreeAsia ieri citava l’esempio degli allevamenti di animali, soprattutto polli, a conduzione famigliare: sono 17 milioni di aziende che con l’accordo sarebbero a rischio, visto che soltanto 23 mila di loro usano moderni metodi di produzione.

     

    Ma la vera scommessa è quella malese. Kuala Lumpur dipende dal commercio, e il Tpp gli aprirà nuovi mercati come quello americano, canadese, peruviano e messicano. Secondo le proiezioni, entro dieci anni il pil della Malesia crescerà del 5 per cento.

     

    Cheerleader e rivalità. Alla festa dei membri fondatori del Tpp, tra gli alleati americani mancava soprattutto la Corea del sud. Il quotidiano conservatore Chosun Ilbo ha bacchettato la presidente Park Geun-hye, che sin dall’inizio del suo mandato aveva promesso un approccio pro-business. Sempre secondo le previsioni di Credit Swiss, i paesi che non hanno partecipato al tavolo delle trattative non avranno un impatto economico particolarmente negativo. Eppure, dice il Chosun Ilbo, il freddo approccio sudcoreano farà perdere alcuni benefici a Seul il giorno in cui deciderà di entrare nei giochi (e succederà). Mentre il Giappone, che ha deciso già nel 2013 di partecipare ai negoziati, ora fa la figura (cito testuale) della cheerleader.
    Giulia Pompili

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.