Il fuorigioco, il Var, Mourinho e la teoria del complotto
Il problema non sono gli arbitri o la tecnologia, è che la regola è stata stuprata da riletture kitsch che l’hanno completamente snaturata
In principio fu il geometra Adriano Galliani, che nel febbraio di tre anni fa schierò il Milan intero nella guerra contro “le linee” del fuorigioco mostrate da Sky e dalla Juventus.
Non era andato giù, all’allora ad, che Tévez avesse segnato in posizione dubbia – regolare per le tv e irregolare per la strumentazione a disposizione dell’Ac Milan. Peccato che tale strumentazione avesse qualche difettuccio di prospettiva, assai simile a quello riprodotto in Inghilterra l’altro giorno. Righe tirate a casaccio contro ogni principio geometrico (a proposito, mi si permetta un excursus: domenica il radiocronista Rai Emanuele Dotto, ha definito la partita Benevento-Crotone uno scontro tra “sanniti e pitagorici”).
Al di là della polemica che più sterile non si può, si è avuta la conferma che neanche il Var può dire l’ultima parola su una situazione oggettiva com’è il fuorigioco. Mourinho ha ragione: se la modernità tecnologica è questa, meglio restare all’ancien régime. La colpa non è dell’aggeggio né – per una volta – dell’arbitro centrale o del suo collega piazzato davanti al monitor. E’ che la regola è stata stuprata da riletture kitsch che l’hanno completamente snaturata. Una volta bastava essere davanti all’altro e si era in off-side. Poi sono arrivati i fenomeni a dire che conta “la parte con cui si può giocare il pallone”, e quindi basta che ci sia il naso, l’orecchio, la spalla, il capezzolo. Resistevano però coloro che volevano la “luce” e cioè che passasse un raggio di sole tra il difendente e l’attaccante in fuorigioco. Non basta: c’erano anche i Graziano Cesari vari che teorizzavano la necessità di un “cono” di luce i cui contorni mai furono chiariti. Tradotto: un bel casino. Che neanche le righe tirate dal Var possono risolvere.
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