Paesaggi romani

Nicoletta Tiliacos

Ogni epoca ha i suoi monumenti, un giorno gli archeologi scriveranno delle nostre mille buche arancioni

    Piove, e quando piove Roma non è più lei. O forse lo è fin troppo, come quelle vecchie signore che in privato, lavato il trucco, tolti i tacchi e sfilata la guaina contenitiva, si accasciano nell’inevitabile crollo, e dimostrano liberamente, addirittura sfrontatamente, tutti gli anni, le rughe e le pappagorge che in pubblico riescono a nascondere. Piove, e buttando lo sguardo dall’autobus che percorre il centro della città, spiccano, ben lucidati dall’acquazzone, certi manufatti che non mancano mai, nonostante l’abitudine, di colpire e di intristire l’occhio del romano. Del romano che si crede abituato e pronto a tutto ma non sa mai, nemmeno lui, fino a che punto. Torniamo ai manufatti. Si tratta di buche nell’asfalto dei marciapiedi o del piano stradale, quasi sempre riempite di spazzatura di origine opportunistico-turistica (bottigliette di plastica, pacchetti vuoti di sigarette, lattine, fazzoletti di carta, si narra anche di pannolini per bambini) e poi circondate – verrebbe da dire istituzionalizzate, santificate, consolidate, esaltate – da paletti metallici. I quali sorreggono precariamente quei teli di plastica arancione traforata in uso nei cantieri, che su internet vengono pubblicizzati come dotati di “perfetta visibilità e resistenza del colore agli agenti atmosferici ed alla polvere”.

     

    Nessuna promessa, bisogna ammetterlo, è stata mai più mantenuta di questa: a memoria d’uomo non si è sperimentato, a Roma, niente di più visibile e, soprattutto, di più resistente ed eterno di quei teli di plastica traforata. Sono migliaia, basta farsi un giro ovunque, ogni romano ha la sua bella buca ornata di plastica traforata a pochi passi da casa. Una di queste installazioni campeggia, difficile dire da quanto (ma prima o poi ci si inventerà una specializzazione universitaria che legga l’età dei rifiuti nelle buche romane e le dati per i posteri) su un marciapiede di via del Plebiscito. Opposto a quello dove si apre l’ingresso di Palazzo Grazioli, dimora capitolina del Cav., il che induce a quelle riflessioni sulla caducità delle fortune umane che in pochi posti al mondo come Roma riescono altrettanto bene. Che una buca stradale vada richiusa prima possibile è un’ovvietà che non si addice all’Urbe, ma forse il problema è cosa debba intendersi per “prima possibile” nell’Urbe. A Roma, per dire, risultano non di rado mendaci perfino le paline sulle quali si possono leggere i tempi di arrivo degli autobus, e che dovrebbero per statuto dichiarare tutta la verità e nient’altro che la verità. Il romano che abitualmente usa i mezzi dell’Atac lo sa. Si raggiunge sempre un po’ affannati la fermata – per esempio quella di piazza Venezia, sotto il famoso balcone, tanto per immaginare una location da tutti conosciuta – e si legge con sollievo che l’81 o il 628 o l’85 sono prossimi all’arrivo. Ci si dispone quindi a una breve attesa pensando: “Meno male”. Invece non succede nulla. Né l’81 né l’85 e tantomeno il 628 si sognano di apparire all’orizzonte, mentre magari sfreccia correndo una vettura con scritto “Deposito” al posto del numero. E il romano sospettoso e tapino non può trattenersi dal pensare che magari quello era l’autobus atteso, e immagina un simbolico gesto dell’ombrello che attraversa la mente dell’autista (magari non è così, ma le attese alle fermate, quando superano la mezz’ora, e a Roma è la normalità, inacidiscono le indoli più tolleranti).

     

    Oppure, al contrario, nulla di utile viene segnalato sulla palina e ci si accinge a passare al piano B (si va a prendere dall’altra parte della vasta piazza un autobus per la stazione, poi metropolitana o cambio a Termini). Ma, fatalità, proprio mentre si sta a mezza strada, impegnati a non farsi arrotare sulle strisce – sempre pallidissime – e comunque tardi per tornare indietro alla fermata sotto il famoso balcone e al piano A, l’autobus desiderato appare, troppo lontano per essere riacciuffato. Poi leggi del sindaco Marino che annuncia l’arrivo di fondi europei per nuove piste ciclabili a Roma, e pensi che la prossima volta potresti votare perfino Matteo Salvini.