Ma questi so' matti

Nicoletta Tiliacos

I tifosi del Feyenoord, forse male informati sulle usanze della città, invece di buttare monetine nella Fontana di Trevi nella speranza di tornare, hanno riempito la fontana berniniana della Barcaccia, a piazza di Spagna, di sacchetti di plastica e di lattine e bottiglie di birra vuote Grazie a loro Roma fa le prove dell’arrivo del Califfo

Ma questi so’ matti”. Il laconico commento, scambiato giorni fa tra avventore sfaccendato e cameriere indaffarato in un bar del quartiere San Giovanni, alle dieci della mattina, riguardava la notizia, riportata in bell’evidenza da tutti i giornali, secondo la quale il Califfato non solo non demorde, ma rinnova la sua promessa di arrivare a Roma. Il programma della spedizione sarebbe il seguente, secondo quanto comunicato da Abu Muhammed Al Adnani, portavoce del Califfo medesimo: “Conquisteremo la vostra Roma, faremo a pezzi le vostre croci, ridurremo in schiavitù le vostre donne”. C’è poco da ridere, d’accordo. Lo studioso di religioni Massimo Introvigne ha spiegato dottamente sulla Nuova Bussola quotidiana su quali basi e quali tradizioni si fonderebbe la rivendicazione di Roma da parte del Califfato. In particolare, ci ha colpito quella secondo la quale Roma sarebbe diventata (a sua insaputa, pare) terra islamica “perché nell’846 una flotta musulmana risalì il Tevere e saccheggiò la città, basilica di San Pietro compresa, portandosi via le famose decorazioni d’oro e d’argento che risalivano al secolo precedente”. La tesi, aggiunge Introvigne, è sostenuta “solo da fondamentalisti radicali a partire dal secolo Ventesimo. Gli storici hanno dimostrato che di quel saccheggio, per quanto clamoroso, non giunse neppure notizia ai grandi centri medio-orientali dell’islam, così che non ne rimane nessuna traccia nei testi dell’epoca”. Una bufala, insomma, e con le bufale i romani hanno una certa confidenza. E se davvero la strategia giusta, di fronte a certe minacce truculente, è quella del sangue freddo, come consiglia sempre Introvigne, allora il romano, modestamente, è in grado di dare lezioni a chiunque, perfino a certi orientali imperturbabili soltanto perché non hanno mai sperimentato l’ingorgo sulla tangenziale alle otto della mattina. Non è, quella romana, la semplice flemma sviluppata in millenni di invasioni e incursioni e saccheggi e rivoluzioni o rifondazioni sognate, mancate o realizzate a metà. E non è nemmeno la pazienza temprata in tempi più recenti nel faticoso confrontarsi quotidiano con la “mobilità urbana”, con gli orari dei pubblici uffici, con le strisce blu– anzi bianche, no, di nuovo blu – e con la Ztl e gli immancabili “piani di rilancio della città” che non rilanciano mai nulla (l’ultimo oggetto di rilancio dovrebbe essere la grande via Merulana, che attraverssa l’Esquilino e unisce san Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore: “L’obiettivo è trasformarla da via a boulevard Merulana”, ha dichiarato riuscendo perfino a rimanere serio l’assessore al Commercio Maurizio Pucci). Insomma, a capire perché il romano, alla fine, si trova a essere psicologicamente avvantaggiato di fronte a certe avversità – anche a quelle, il cielo non voglia, di formato apocalittico – era stato Stendhal: “Il romano non dissimula con alcun complimento l’asprezza della realtà della vita”, scriveva il 5 dicembre 1827 nei suoi appunti di viaggio che sarebbero diventati “Passeggiate romane”. Stendhal riconosceva addirittura, al romano, il “rispetto per la verità” e la “stabilità dei desideri”, tratti che secondo lui lo differenziavano dal parigino più stravagante e fatuo: “Diceva benissimo Paolo ieri: questa sincerità, per noi inusitata, della società romana, le dà di prim’acchito un aspetto di cattiveria, e ciononostante è la fonte della bonomia”. Stendhal era al suo sesto viaggio nell’Urbe, e parlava a ragion veduta. Certo, non aveva visto la bonomia dei residenti messa alla prova dalle passeggiate romane dei tifosi olandesi del Feyenoord. Giovanotti, forse male informati sulle usanze della città, che invece di buttare monetine nella Fontana di Trevi nella speranza di tornare, hanno riempito la fontana berniniana della Barcaccia, a piazza di Spagna, di sacchetti di plastica e di lattine e bottiglie di birra vuote (pare abbiano lasciato inoltre indelebili ricordi anche sui mezzi pubblici che li hanno in seguito condotti allo stadio). E oggi, al bar, qualcuno commenterà: “Ma questi so’ matti”.

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