Meglio niente
Il Natale è ormai lontano, ma come dimenticare la fontana dei Quattro Fiumi rosa shocking?
Il Natale passato sembra già molto passato, eppure ci sono cose che non si dimenticano facilmente. Come cancellare dalla memoria, per esempio, l’inarrivabile pacchianeria delle luci natalizie parapsichedeliche proiettate sulla Fontana dei Quattro Fiumi a piazza Navona? Ma sì, quelle magnificate dal primo cittadino Ignazio Marino su Facebook come “un progetto di illuminazione a cura di Acea che fa risplendere ancor di più uno dei gioielli di Roma”? Per capire che cosa, nell’ineffabile lessico mariniano, debba intendersi per splendore, basta dare un’occhiata – se si è particolarmente sensibili, non prima di essersi muniti di occhiali da sole – alle foto di sindaco e passanti di fronte alla povera fontana illuminata a intermittenza di turchese fluorescente, di blu elettrico, di rosa shocking e di un viola per il quale abbiamo cercato a lungo una definizione che rendesse l’idea, ma senza successo. All’obelisco al centro della fontana – lo snello obelisco agonale fatto costruire da Domiziano sul modello di quelli egizi, dei quali riproduce fedelmente i geroglifici – era stato inoltre inflitto, alla base, il logo luminoso dell’Acea, e in altezza, su tutti e quattro i lati, una scritta, sempre luminosa, che augurava senza alcuna ironia “Buone feste” (come no: bastava solo sopravvivere al trauma di quella visione e poi cos’altro avrebbe potuto turbarle, le feste?). Ebbene, oggi si scopre, grazie a un’interrogazione del senatore ncd Andrea Augello, che era tutto abusivo. Luci colorate, scritte, logo, effettacci psichedelici: nessuno, dal Comune, aveva mai chiesto alla Sovrintendenza e al ministero dei Beni culturali alcuna autorizzazione, prima di trasformare piazza Navona e fontana del Bernini nella mesta succursale di una discoteca anni Ottanta, perdipiù di terza categoria. Qualcuno chiederà almeno scusa? Ma no, al massimo la prossima volta bisognerà essere un po’ più diligenti, ha mitemente dichiarato il ministro Franceschini col ditino alzato, e chiedere i relativi permessi. Così vanno le cose a Roma. Chi dovrebbe prendersene cura finisce per essere il primo a non rispettare le regole, che poi non sono tanto quelle burocratico-amministrative, ma quelle del buon senso. Non ci voleva un Roberto Longhi o un Federico Zeri per capire che l’idea di rivestire la fontana dei Quattro Fiumi di luce rosa shocking era obbrobriosa. Meglio niente, dovrebbe essere la regola in questi casi. Meglio il buio, il silenzio, la discrezione, il non possumus. Meglio le rovine di certi spaventosi restauri, di certi pseudo abbellimenti degradanti. Per fortuna temporanei, come le luci colorate di piazza Navona, ma non per questo meno avvilenti. Sarebbe bello essere lasciati in pace, in questa città, a vivere l’antica confidenza con le pietre come la scoprivano certi viaggiatori di un tempo, perfino nei suoi poteri terapeutici. Un po’ come capitava all’americana Isabel Archer, protagonista di “Ritratto di signora” di Henry James. A Roma, Isabel “riposava la sua stanchezza su cose che si erano andate corrompendo da secoli e che stavano ancora in piedi; abbandonava la sua tristezza nei silenzi di luoghi solitari dove l’attualità della sua pena si staccava e diventava obiettiva; cosicché, mentre sedeva in un angolo riscaldato dal sole in un giorno d’inverno e stava in piedi in mezzo all’odore di muffa di una chiesa, nella quale più nessuno entrava, poteva quasi sorridere alla sua pena… si era fatta teneramente, profondamente amica di Roma: la città si mescolava alla sua passione e la moderava. Si era abituata a considerarla specialmente come il luogo dove tanta gente aveva sofferto”. E non aveva nemmeno visto i Quattro Fiumi fluorescenti.
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