S'avanza il Partito delle Iene
A Palermo menano Crocetta, sfidano Orlando, comprano la squadra della città. Altro che Giletti. Sono i ragazzi della trasmissione quelli che stravincono
Da un lato c’è lui, Massimo Giletti. Che ogni domenica, da quella grande piazza grillina che è l’Arena, manda in onda il teatrino della Grande Indignazione. Sceglie un tema popolare e populista, come il vitalizio, e si traveste da eroe anticasta, pronto a spargere veleni e risentimenti su chiunque abbia ancora l’impudenza di riscuotere quella maledetta indennità. Più che un giornalista è un capopopolo. Focoso e sprezzante ben oltre i confini della decenza, arriva anche a sbattere per terra il libro di Mario Capanna solo perché l’ex leader del Sessantotto non accetta l’intimazione di rinunciare all’infame vitalizio.
Nel carnevale perpetuo del servizio pubblico i travestimenti hanno però le gambe corte. E per averne contezza basta aspettare un’oretta quando, verso la fine della trasmissione, il profeta della Grande Rabbia torna docile e servizievole all’ovile della sua casta: quella dei ricchi. E’ l’ora in cui Giletti cambia registro e da paladino dei poveri e dei diseredati si ritrova a intervistare, con i toni salivosi della fratellanza, Flavio Briatore, “modello internazionale di imprenditore illuminato”, chiamato lì, nell’Arena grillina, a giudicare gli insopportabili e inetti rappresentanti della classe politica. I quali, sia detto con il dovuto sdegno, sono solo capaci di rastrellare prebende e privilegi. Ah, che schifo!
Dall’altro lato ci sono loro, quelli delle Iene. Che di settimana in settimana, dalle reti Mediaset, mandano in onda un teatrino ancora più pesante. Armati di telecamere nascoste e microfoni d’assalto, fingono di incarnare il “giornalismo di denuncia”. Se Giletti è impupettato come un Di Maio qualunque, petulante e istituzionale, loro somigliano al Dibba, ribelle e on the road. E come Di Battista credono di potere rivoltare il mondo come un calzino. Magari affiancando, in questa meritoria opera di purificazione, l’inventore stesso della formula: quel Piercamillo Davigo che, da magistrato della procura di Milano, nei primi anni Novanta fu l’enfant prodige di Mani Pulite mentre oggi gira per convegni e talk-show televisivi come sanguigno condottiero della casta togata.
Il furore delle Iene, a differenza del populismo peloso di Giletti, va a caccia delle magagne e delle storture nascoste sotto la crosta del Belpaese. E, a dire il vero, gli scatenati inquisitori reclutati dalla tv di Berlusconi di risultati a casa ne hanno portati. In Sicilia, per esempio, hanno alzato due pietre e hanno mostrato ai loro telespettatori i verminai che si annidavano sotto quelle pietre. Il primo scoop ha investito e travolto i grillini palermitani, oggi costretti a rinfacciarsi reciprocamente la responsabilità delle firme false messe in fila per la presentazione delle liste alle elezioni comunali del 2012: l’inchiesta della procura era stata, in un primo tempo archiviata, ma un’esplosiva intervista realizzata dalle Iene ha dato di nuovo fuoco alle polveri, fino alla deflagrazione.
Il secondo scoop invece ha mandato in frantumi l’ultimo briciolo di credibilità ancora in possesso della giunta regionale presieduta da Rosario Crocetta, una macchietta della politica. I giornalisti dello show televisivo hanno sposato la causa dei disabili abbandonati dalla Regione al loro destino e, con una telecamera nascosta, hanno sputtanato a tal punto l’assessore regionale, cui spettava il compito di risolvere il problema, da costringerlo alle immediate dimissioni.
Onore al merito, verrebbe da dire. Se le Iene, forse ubriache del loro successo, non si fossero spinte oltre, fino a trasformarsi anche loro in capipopolo. Ricordate Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, attore e regista, che dopo la denuncia dei suoi colleghi si è messo alla testa di un piccolo e disperato popolo inchiodato sulle sedie a rotelle ed è partito alla conquista di Palazzo d’Orleans? E ricordate il dialogo impossibile tra lui e il balbettante Crocetta, costretto da quelle urla e da quelle invettive a prendere comunque un impegno che rincuorasse quantomeno tutti quei ragazzi afflitti dalla malasorte?
Sarà perché la Sicilia si scioglie ormai nell’inconcludenza, sarà perché il destino ama annodare storie spesso lontane tra loro, sta di fatto che le Iene hanno trovato a Palermo un terreno fertile per coltivare anche le loro personalissime ambizioni. Ismaele La Vardera, giovanissimo e scapigliato esponente del giornalismo estremo, ha presentato ufficialmente la sua candidatura a sindaco in vista delle elezioni di giugno. Di fatto sfida un monumento, politicamente parlando, quale è Leoluca Orlando, pronto a riprendersi la sua carica e ad avviare il suo quinto mandato. Ma La Vardera, con lo sguardo smarrito di chi non sa dove finisce il gioco e dove si fa sul serio, è deciso ad andare avanti: male che vada, trasformerà la sua esperienza di candidato a Palermo in due o tre puntate della trasmissione o in un reportage da vendere al migliore offerente.
Ma il prezzo più pregiato del Partito delle Iene, chiamiamolo pure così, è lui, Paul Baccaglini, povero di capitali ma straricco di tatuaggi, diventato all’improvviso presidente della traballante squadra del Palermo, fino a oggi in serie A ma seriamente candidata alla retrocessione in B. A sentire la conferenza stampa con la quale si è presentato alla città, Baccaglini avrebbe acquistato le azioni direttamente da Maurizio Zamparini, il vecchio patron, ma il fondo d’investimenti del quale sarebbe il rappresentante purtroppo ha ancora i contorni dell’oggetto misterioso. Chi vivrà, vedrà. Intanto Baccaglini, ex Iena, è stato incoronato “re dei rosanero”. Quella che qualche settimana fa è finita su questo giornale come la “repubblica del Pif”, si allarga dunque a vista d’occhio: dalla politica alla finanza, allo sport. Ma, a differenza di Giletti che liscia il pelo alla casta travestendosi da anticasta, quelli delle Iene sembrano puntare più in alto: con le loro faccine televisive tentano di abbattere i tirannucci del regno antico e di occupare i loro posti. E’ la favola nera del nostro tempo. Un tempo greve.