Lo sfarzo di Erdogan

Umberto Silva
Quale diagnosi per il presidente turco? Megalomania? O c’è un pizzico di paranoia culinaria?

Nella notte stellata dondolava il caicco. Sdraiati sui cuscini, Raffaele ed io bevevamo vodka quando all’improvviso l’impenetrabile boscaglia s’incendiò di luci, suoni e urla. Giovanotti in bellicose divise apparvero tra gli alberi spingendo carri, innalzando bazooka; a squarciagola cantavano inni patriottici. “E questi chi sono?”, chiese Dudù al nostro capitano che nel frattempo era sbiancato. “Erdogan”, disse il turco a sottovoce, e c’indicò una misteriosa casa bianca affacciata sulla baia deserta. Le case, quelle bianche, solo loro, piacciono assai a Recep Tayyip Erdogan; forse da piccino fu costretto a spartire con i fratelli una buia stanzetta, donde la rivalsa della reggia di Ankara che per sfarzo e vastità supera Versailles ed è trenta volte la Casa Bianca di Washington. Bianche le colonne di marmo di uno stile vagamente ottomano, bianchi gli interni, gli atrii, gli interminabili corridoi, salvo a ogni passo incontrare tappeti così rossi che paiono fiumi di sangue. Ai piedi delle scale o sulla cima ama farsi fotografare un dominante Erdogan, manco fosse il feroce Salatino – così a scuola – rivalutato come persona perbene dagli storici francesi e di nuovo riconsegnato alla damnatio memoriae dall’ansia riformatrice di Al Sisi.

 

Quale diagnosi azzardare per il turco presidente? Megalomania? O c’è un pizzico di paranoia culinaria, all’inquietante luce del fatto che nel bianco palazzo di mille camere giorno e notte lavorano cinque assaggiatori di vivande? Non esageriamo, il presidente avrà i suoi buoni motivi, di questi tempi. Purtroppo non avremo modo di assistere alla scena dello schiavo che dopo avere addentato una coscia di pollo stramazza sul tappeto in convulsioni mortali, gli assaggiatori di Erdogan hanno a disposizione un modernissimo laboratorio situato accanto alla cucina e analizzano con raffinati strumenti il cibo del loro sultano. Pare che tema di essere avvelenato, o per lo meno intossicato, dai suoi rivali capeggiati da un predicatore miliardario di nome Fetullah Gülen un tempo suo grande amico ora implacabile nemico; si sa quanto questi bruschi mutamenti amorosi fomentino la voglia di uccidere quanto la paura di venire uccisi. Il timore di essere avvelenati è tipico di chi ce la mette tutta per avvelenare l’altrui esistenza, e si sa come Erdogan risulti a volte assai indisponente soprattutto in tema di donne e religione. Mi dispiace che la paura della morte gli impedisca di gustare gli eccellenti piatti a sua disposizione; immaginiamone la rabbia nei confronti degli ospiti che noncuranti divorano un delizioso kebab di agnello marinato. Al termine di ogni banchetto l’esterrefatto Erdogan si trova invece a chiedere allo specchio delle sue brame: “Con duecento cuochi non riesco a gustare niente!?”. Sono i contrappassi dell’onnipotenza; ben la sperimentò l’ingordo re Mida che stava da quelle parti, nella magica Anatolia; chiese a Dioniso di donargli il potere di tramutare in oro tutto ciò che toccava e in tal modo non riusciva più a sfamarsi, i sublimi pistacchi della baklava gli andavano di traverso.

 

Con ciò non dico che il misterioso Gülen sia meglio di Erdogan; dopo le primavere arabe rimpiango certi grintosi vecchiacci e nonostante i giovanili ardori Recep Tayyip Erdogan ha le stigmate del vecchio, gli si sente addosso l’odore di Mubarak, i suoi rassicuranti gessati. Certo, non tutto è oro quel che luccica, ci sono delle controindicazioni. La sfavillante Casa Bianca di Ankara è vecchia pur essendo nuova di zecca, vecchia quanto il suo unico vero abitante sospetto di spruzzare attorno a sé quel “Sick building syndrome” che esperti e scienziati hanno annusato nel bianco palazzo. Si tratta di una sindrome di recente riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità e che affligge gli occupanti di un edificio senza che cause o malattie specifiche possano essere identificate. Le persone colpite lamentano irritazioni agli occhi, al naso, alle vie respiratorie e occasionalmente alla pelle, con vertigini, difficoltà di concentrazione e la triste voglia, soprattutto all’ora del pasto, di gettarsi dalle finestre del palazzo. Una volta lasciato l’edificio, i disturbi spariscono. Ammorbati dal loro stesso servilismo i maggiordomi di Erdogan sono preda di questi disturbi, mentre lui ci vive sereno, o così almeno dice. C’è da credergli? Mostrare di stare bene benissimo è una forma assai diffusa di vanità; ma posso far felici gli invidiosi rassicurandoli che i vanitosi sono in cuor loro irrimediabilmente infelici.  

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