L'infelice risarcito

Umberto Silva
La lunga malinconia di Obama che avere il mondo in mano non ha alleviato. Finché un Dio benigno…

    Barack Obama ha vinto le elezioni americane due volte, la prima volta perché nessun altro voleva vincerle tranne Hillary Clinton, che per la troppa voglia fu punita e probabilmente ancora lo sarà; la seconda elezione è stata regalata a Obama quale risarcimento per la prima: mica l’avrebbero data a lui l’America se maestosa navigava in quiete acque e prosperi approdi. Barack in cuor suo sapeva che era in trappola; ecco quel che davvero pensava recitando il suo celebre discorso di accettazione: “Lo so che si è cercato un capro espiatorio, uno cui rifilare l’inferno per poi dire che è stato lui a crearlo. Lo so, lo so, apparentemente riscatto tutti i neri del mondo, in realtà copro il bordello bianco. E’ il mio, il nostro, destino di schiavi, ma Dio mi assisterà”. Dio però era distratto e non aiutò Obama che si limitò ad abbozzare un qualche magico gesticolio. Tutti storsero il naso. Per risollevare gli animi Barack si appellò, sulla scia di Robert Vischer, all’empatia, parola piena di buona volontà ma non certo il miracolo dei pani e dei pesci; una parola tanto moscia l’empatia che nel ricordarla la mia prosa ne risente, l’ascolto analitico si fa meno attento, l’orecchio declina all’ingiù come quello di Pluto quando è triste. D’altronde perfino l’amica canterina Beyoncé era talmente delusa dalla rassegnazione di Barack che alla rielezione gli rifilò un playback.

     

    Poco dopo avere mestamente accettato il dono di un’America spelacchiata, Barack trangugiò l’amarognolo calice del Nobel per il bambino più buono dell’anno. Intanto gli Usa perdevano ulteriore prestigio mentre, in omaggio al morto Osama,  gli sciacalli del deserto crescevano e si moltiplicavano. Il presidente divenne nervoso, molto nervoso, restando peraltro un uomo estremamente elegante vale a dire infelice. Meglio imbestialirsi, in quei frangenti. Diagnosi: una ben portata malinconia, in parte ereditata dall’infanzia in parte acquisita con la scoperta della propria impotenza di fronte alle malefatte del mondo. Il feroce fanatismo dei persiani lo esaspera, apprezza gli israeliani ma la loro ostinazione lo annoia, probabilmente il suo pensiero è altrove, ai milioni di congolesi sterminati dal cattolicissimo re Leopoldo, a proposito dei genocidi del Ventesimo secolo. Mi vien da pensare che a loro Barack rivolga la sua memoria, e a quel padre che l’abbandonò in fasce e che volle rivederlo per una vacanza. Barack aveva dieci anni, chissà quanto amore e aspettative riposte in quel mese a Honolulu designata a culla di un’interminabile storia d’amore tra la cascata di Manoa, il faro di Makapuu e la spiaggia di Hanauma. Fu l’ultima volta che il suo papà volle vederlo. La presidenza del mondo non cancella niente, più hai potere e successo più i dolori ti segano la fronte.

     

    Ma a questo punto, quando tutto pare perduto e Obama consegnato alla storia come il più sfortunato dei presidenti americani, ecco il colpo di scena. Già Barack si era messo a sognare l’azzurro mare delle Hawaii, la sua vera patria spirituale, dove pare abbia opzionato una dimora e dove un giorno si ritirerà guardando al di là dell’oceano quella strana terra che ha governato per tanti anni, quando all’improvviso il Buon Dio ha deciso di premiare la sua sofferenza, e come fece con il martoriato Giobbe, in extremis mette fine alla sua umiliante tortura e gli manda magnifici doni. Il primo è la resurrezione economica degli Usa; il secondo è la possibilità di meritarsi quell’immeritato Nobel per la pace che da sette anni gli punge il fianco. Obama ha ora l’occasione di pacificare il mondo, a partire da Cuba e dall’Iran e chissà quanti altri popoli ancora: liberi tutti! Barack è per la prima volta contento dopo tanti anni; fin euforico. Pericolosamente euforico? Rischia alla grande e ci fa rischiare? Mah, a ben vedere Obama e il mondo non rischiano niente, anche perché peggio di come stanno le cose… E se i persiani stanno ai patti, Obama è forever.

     

    Intanto ha portato gli iraniani in piazza a reclamare un sano arricchimento delle proprie tasche e non quello dell’uranio. Dal canto loro gli stremati cubani da Obama attendono miracoli, pronti persino a… “perdonarlo” perché è un uomo “onesto”, soave biascica il perfido Raul. Se poi i pasdaran di Khomeini faranno i furbi, gli americani non hanno mai esitato a lanciare le bombe. Ricordatevi di Hiroshima, mediorientali signori della guerra: anche Harry Truman era un democratico, onesto e un po’ malinconico. Quanto al perdono, se ne fotteva.
    Umberto Silva