Vivere o morire

Umberto Silva
Amleto, Giancarlo Galan e il desiderio di un suicidio. Il ruolo dei figli nei dolori della vita

    Morire, dormire… nient’altro. E con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille colpi che la natura della carne ha ereditato. E’ un epilogo da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare: ah, c’è l’ostacolo, perché in quel sogno di morte il pensiero dei sogni che possano venire quando ci saremo staccati dal tumulto della vita, ci rende esitanti”. Per Amleto, principe di Danimarca, a distogliere dal suicidio è il pensiero di un Aldilà, anche perché ha appena incontrato il papà re che è venuto a trovarlo dall’Inferno; per Giancarlo Galan, deputato, il salvifico amuleto è la figlia. “Se ho pensato al suicidio? Ci ho pensato molte volte e continuo a farlo… Mi blocca mia figlia… Le modalità lasciamole stare …”. La modalità evocata da Amleto è il pugnale; la modalità, più poetica, di Galan, consiste invece “nell’annodarmi attorno al collo una delle corde con cui ancoravo la mia barca”. Le modalità sono peraltro infinite, ricordiamo il colpo di pistola di Raul Gardini nella sua casa milanese e Gabriele Cagliari che si soffoca in carcere con un sacchetto di plastica, ma c’è anche la morte per acqua e per fuoco, il veleno e il sonnifero, il rasoio e il dirupo… E c’è chi lascia una lettera di commiato e chi se ne va rabbioso, senza salutare le persone che, forse, un tempo ha amato e ancora lo amano. Si suicida Foster Wallace al colmo della gloria, si suicidano i falliti, ogni giorno si suicidano ventidue marine in congedo. Non si suicida chi in extremis trova un appiglio, un motivo per non morire. Giancarlo Galan c’informa che è la figlia a fermarlo, bene così, addolorare ulteriormente una bambina già sconvolta da un genitorie in galera sarebbe davvero un atto orribile.

     

    Il suicidio non è il colpo di pistola o il nodo scorsoio, il suicidio precede la morte, è la morte in vita, una malinconica ossessione che può attanagliare persone d’impegno e d’ingegno piegandone l’eroica resistenza, l’accanito desiderio di vivere per farci vivere. Siano benedetti costoro, riposino in pace. Riposino in pace anche gli imprenditori veneti che si sono uccisi per la disperata visione del proprio lavoro annientato insieme a quello dei loro operai. Odiosa invece la corruzione che convoca attorno a un opulento tavolo uomini usi a scambiarsi mazzette; ridono a crepapelle di tutto e di tutti ma in realtà si detestano l’un l’altro, in cuor loro disprezzando quei corrotti… che sono. Smascherati, pubblicamente strillano e in privato sbuffano, il futuro pare loro di una noia senza fine e alcuni di loro meditano l’unico suicidio veramente riprovevole: fuggire la vita quando non si può più depredarla.
    Parlo di Galan? Parlo di noi tutti, parlo di me, ciascuno è esposto al crimine e alla sua tragica espiazione. Galan non se n’è andato all’altro mondo, preferisce il disprezzo di questo piuttosto che infliggere un dolore a chi più ama. Evita in tal modo di compiere un crimine ben più grave del reato di corruzione, il lasciare una figlia con il ricordo di un genitore pavido e ingeneroso, uno che l’abbandona per non soffrire. Un dubbio tuttavia s’aggira per le veneziane calli e gli Euganei colli: davvero Giancarlo Galan era sul punto di uccidersi? Tutta scena, dicono molti. E tuttavia occorre che sempre viga una paterna giustizia: è crudeltà abbandonare chiunque nella solitudine di una cella o di una crisi depressiva o maniacale, alla mercé del suicidio. Simula? Nel qual caso ne renderà conto a Dio o a chi per Lui, ma è doveroso pensare ai suoi figli, al trauma che essi potrebbero vivere; consegnarli al lutto e all’incubo comporterebbe segnarne il destino. Parimenti tocca ai figli dissuadere i genitori dall’inoltrarsi prematuramente nell’Ade, regalando loro una ragione di vita. Quale? La migliore: loro stessi, i figli. Spesso i ragazzi in analisi manifestano il loro dubbio nel chiedere altri soldi ai genitori; vorrebbero quanto prima diventare indipendenti per lasciarli in pace. L’indipendenza va benissimo, rispondo, ma lasciare in pace i genitori proprio no; svegliateli alle due di notte per raccontare loro qualche patema d’animo, e qualche soldo continuate a chiederlo, anche quando non ne avrete più la necessità. I genitori vanno sempre un po’ tormentati, più invecchiano più hanno un disperato bisogno di sentirsi Padri.