In memoriam

Umberto Silva
In che modo ricordiamo gli uomini politici, e i politici che si fecero uomini e segnarono il tempo?

    Dal palco, Zangheri parlava ai bolognesi affranti e smarriti, accanto a lui Pertini poggiava la mano sulla bandiera; un anno dopo Carmelo Bene salì sulla torre degli Asinelli recitando il canto ventitreesimo dell’Inferno con una dedica ai duecentomila che lo ascoltavano, “come me feriti a morte”. Il sindaco, il presidente, il poeta e l’attore fecero il miracolo, la città ferita ritornò a vivere. Carmelo è morto da tredici anni, chissà cosa combina nel suo estremo teatro. Tranquillo Renato Zangheri giace nella tomba dimentico di tutto; noi non dimentichiamo la sua compostezza, fu bravo amministratore e questo è bene. Ma per trent’anni ci siamo dimenticati di lui. Come ricordiamo gli uomini politici, e i politici che si fecero uomini, e in qualche modo segnarono il tempo? Quelli che ci regalarono sogni e risa e furori sono ancora nelle teste o non più, svaniti per via della nostra frivola natura o per loro stesso dissolvimento, ch’erano nuvolette e nient’altro? Ho chiesto a qualche amico, ai familiari, a un paziente, a un tassista…

     

    “Gli onesti cadono sempre nell’oblio”, mi dice L. con sguardo severo, giusto per farmi sentire in colpa. “Restano i truffatori, gli assassini seriali…”. Scappo, e mi sembra di averlo alle calcagna. Più intrigante G.: “Il giorno della strage di Bologna ero a Napoli con una deliziosa fanciulla. Quando arrivò l’orribile notizia lei bestemmiò, e la cosa mi colpì molto”. Colpisce anche me. Detesto i maschi che bestemmiano, ma le ragazze che tutt’a un tratto perdono la fede mi attraggono. “La politica allora era invernale, incappottata – sospirando mi dice R. – ricordo i pesanti cappotti delle sfilate al Cremlino. Tanti cappotti. E Pietro Secchia. Voleva la rivoluzione e si trovò a passare trent’anni con la bocca aperta”. Sempre arzilla la cara P. :“Come sta il signor Catullo e la signora Saffo? Vivissimi grazie, solo l’arte è eterna”. Lugubre N: “Per trent’anni ho odiato mio padre e improvvisamente mi sono accorto che in realtà odio mia madre. La stessa cosa mi è capitata con la politica: per trent’anni fedele a quelli là, poi all’improvviso…”. Ma quale improvviso! Sbrigativo il tassista: “Di quello che è stato non mi frega niente, ma proprio niente, figurarsi se mi do pena di ricordarlo”. Poi, fulminea, la nostalgia: “Craxi, quelle monetine… ”. T. ha una sua etica e una sua estetica: “Fanfani, Agnelli, Paietta, Almirante… tutti i morti li ricordo in bianconero, tutti i vivi a colori. Renzi? A colori. Salvini? A colori. Ammiro l’eleganza del biancoenero, ma al momento tu e io siamo vivi e quindi a colori. La Boschi? A colori. Nilde Jotti? In biancoenero”.  Perfida A.: “ Mi piaceva Lucio Magri. Avevo le idee molto confuse”. C. ha i suoi eterni dubbi : “Hai visto la foto della regina Elisabetta che alza il braccio al cielo? Tu che ne pensi, era un saluto nazista o fascista? Sembra più fascista, col braccio alzato verso il cielo, i nazisti stavano più bassi, le braccia perpendicolari al corpo”. Anglofila S. taglia corto: “Londra, lì è bello ricordare. Gladstone, Disraeli, la sommergibilista Thatcher, hanno vinto tutte le guerre; è dolce prendersi la pioggia a Trafalgar Square”. Perennemente nostalgico D. : “Ricordo gli scontri davanti al palazzo di Giustizia. Gridavamo ‘Rossi e Piperno o Roma brucerà’. Piperno, t’immagini!”. “Berlusconi resta”, sogghigna O. D. è come al solito polemica: “Jacqueline Kennedy, lei sì la ricordo. Non era una politica? E chi se ne importa, io la ricordo. Se poi vuoi farne una questione….”. M. ha le idee chiare, le ha sempre avute: “Enrico Berlinguer non mi lascia mai. Tutto era scritto sul suo sorriso mesto, il calvario sotto i colpi di Craxi, la morte per ictus. Vorrei che mi lasciasse ma è sempre lì. Forse anch’io ho qualcuno che mi sta bastonando…”. N. sa il fatto suo: “Un indimenticabile? Re Farouk, l’egiziano. Tutti si credevano migliori di lui, gli stava bene così”. Urlo di condivisa gioia, il re Farouk è anche il mio preferito. N. mi guarda sospettoso; dice che è di fretta. Incontro W., cammina tutto storto. Sento che non dovrei chiederglielo ma proprio per questo glielo chiedo. La risposta è esatta: “Se vuole proprio saperlo, caro Silva, ho una vita passata a cercar di dimenticare quello che non ho fatto; senza peraltro riuscirci, a dimenticare. Ha capito? Non sono riuscito a dimenticare quello che non ho fatto. Capisce? Eh?”. Serafica B., come sempre: “Quel che l’accidia allora m’impedì di amare, ora amo. Questa è la buona memoria”.

     

    Molto buona, grazie B. Sulla tua scia un’ottima notizia mi è stata appena comunicata da F., graziosa estrosa modista: nonostante lo strillare della battagliera nipote, mi dice F. entusiasta, il nome Mussolini sbiadisce e lascia il posto barbaramente usurpato… alla mussolina, la leggiadra veste di tessuto indiano che per merito di Jane Austen è da sempre nei nostri cuori e ora torna in scena con i colori del bianco e dell’avorio, della crema e del verdolino. Grazie F., grazie mussolina.