“Non me ne può fregar di meno dei migranti, però li aiuto”
“Non me ne può fregar di meno”, mi dice L. agitandosi sulla chaise-longue. “Non me ne può fregar di meno dei migranti o profughi o rifugiati come diavolo li si chiama. La loro vita e la loro morte mi lasciano del tutto indifferente. Eppure…”.
“Eppure?”.
“Eppure ne ospito una diecina in uno dei miei alberghi e ho donato centomila euro a una casa di ricovero per mamme e bambini”.
“Un burbero benefico!”.
“Assolutamente no. Di costoro non m’interessa niente, anzi, li odio per i problemi che mi creano, per i soldi che mi costringono a versare”. L’uomo è rosso e sudato come un Bacco di Rubens.
“Lei non è obbligato”.
“Invece sì. Sapesse le mie notti… A un certo punto mi arrivano i fantasmi dei morti e mi trascinano giù nel profondo delle acque a imputridire con loro. Mi sveglio con un rigurgito esofageo che per poco non crepo nel mio vomito”.
“Si sente in colpa?” gli chiedo guardandomi le unghie.
“Io sono in colpa. Se non aiuto i migranti una di queste notti finisco annegato o con la testa tagliata e la bocca piena di sabbia. I migranti sono la mia assicurazione per la vita”.
“Dio mio, li fa sembrare dei ricattatori!”.
“Lo sono. Crede che non conoscano i loro poteri magici, i poteri dei martiri? Mi hanno in pugno, ci hanno in pugno, altro che le nostre terre, le nostre anime stanno conquistando, perfino la Merkel si è convertita e i tedeschi sono diventati santi”.
“Non tutti”.
“Mi fanno pena quelli che in Italia e altrove volentieri prenderebbero i migranti a calci e imprecano; idioti, si stanno scavando la fossa, si danno la zappa sui piedi, si condannano all’infelicità. Brav’uomini, lavoratori, si credono nel giusto e forse lo sono, ma se vincono le elezioni e mandano i rifugiati a quel paese, non oseranno più guardare in faccia i propri figli. Passeranno il tempo a sgridarli, a tormentarli, finché i figli furenti emigreranno a loro volta, o taglieranno la gola ai genitori. Lei, professore, versa qualcosa ai migranti?”.
“Qualcosina”. Sento che muore dalla voglia di conoscere la cifra.
“Lei non li odia e quindi non ha bisogno di dissanguarsi. Mi festeggiano i barbari, mi chiamano papà ma so che volentieri mi taglierebbero la gola.”.
“I migranti sentiranno il suo odio” dico pensando a una tipa di molti anni fa. “Ma basta con la gola, sennò le parte la tiroide”.
“Ma che lo sentano l’odio, voglio vedere se rinunciano al mio amore”.
“Amore è una parola grossa”.
“Giusto per spaventarli e farli incazzare. Voglio essere insopportabile, ma non devo esagerare. Ha ragione lei, devo difendere la tiroide, si sta ingrossando a vista d’occhio, è inutile combattere contro di loro. Ieri stavo corteggiando una ragazza, non una qualsiasi, un’attrice abbastanza famosa, la guardo negli occhi e vedo lui, un bambino arabo che mi fissa triste. Che cazzo c’entra? Mica scopavo sua madre! Quel piccolo diavolo voleva rovinarmi una gran bella serata, mi toccò fare lì per lì un bonifico all’Unicef. La ragazza scoppiò a ridere, ma la voglia di scopare intanto mi era passata e pensavo ad altro, alla mia infanzia”.
“A cosa in particolare?”.
“Non mi va di dirglielo ora. Vorrei, ma glielo dico un altro giorno”.
“Che fatica tutte queste peripezie. Non fa prima a diventare buono?”.
“Buoni, tzè. Chi sono i buoni? Quelli che piangono sui bambini morti e non danno una lira? Sono i peggiori, peggiori perfino di me. Fanno tutti le facce da samaritani ma secondo me pisciano sangue. Il denaro, lui solo, può preservarci dal male. Io pago il biglietto, Dio o chi per lui ne tiene conto”.
La seduta è finita, grondando apoplettico sudore l’uomo si fa strada tra i suoi fantasmi. Mi paga il biglietto, lo accompagno alla porta. Stringendomi la mano mi guarda, un po’ imbarazzato. “Professore”, mi dice, “l’attrice famosa me la sono inventata; è la mia segretaria, una ragazza molto carina, peraltro. Quanto agli ospiti in albergo se solo quegli straccioni pidocchiosi ci mettono piede li sparo. I centomila euro invece li ho dati tutti, sull’unghia.”.
L’uomo spia la mia reazione, che bada bene a non mostrarsi. Incerto, come uno che vorrebbe dire altro, sospirando varca la porta dello studio.
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