Tra gay e divorziati

Umberto Silva
A forza di aperture Papa Francesco finirà come Gorbaciov, ma io mi iscrivo alla sua chiesa

    Papa Francesco mi sembra sempre più somigliante al coraggioso e ingenuo Gorbaciov: apri qua apri là e vertiginosamente tutto un sistema edificato nei secoli collassa lasciando spazio a ogni pretesa in nome della libertà. Il che va bene, è giusto e tutto il resto, e tuttavia si ha pur sempre, nel caso della chiesa, una splendida civiltà che finisce, con le sue luci e le sue ombre, che davano un bel tono, assai sessuale, con tutti quei no, che trascinati dal desiderio rapidamente diventavano un sì, sì, sì, voglio sì. Superbo il lungo impero della chiesa trionfante, mai civiltà toccò una simile vertigine, mai eros fu tanto celebrato in quanto dannato. Ahimè, si è perso il gusto di questo raffinato piacere, nessuno è più disposto a fare la coda ai confessionali ove raccontare la colpa per poi correre subito a commetterne un’altra resa ancor più avvincente dall’idea di essere assolto e nel contempo espiare, con tutto quel bendidio di dogmi, precetti e liturgie. Ora il tempo di quella chiesa coltissima, feroce e sublime è agli sgoccioli e per assaporarlo occorrerà frequentare gli implacabili lefebvriani o i nuovi gruppi d’intransigenti, scissionisti sinodali disgustati da un vogliamoci bene a buon mercato. “Ma quali gay, quali divorziati, che vuole sta gente degna solo dell’inferno?”. Sono perfettamente d’accordo: ho tanto apprezzato la chiesa cattolica e tanto ancora l’apprezzo in questo suo estremismo, che proprio non potrei fare a meno di morire tra le sue braccia, che fino all’ultimo mi chiederei di chi siano, se di Cristo che mi accoglie in paradiso o di una strega che mi trascina all’inferno. Così, sempre gloriosa, la Grande chiesa, quella dalle indistruttibili fondamenta. Meschino può invece apparire lo scendere a patti con il Secolo, ritoccando qua e là la dottrina, limando ostie e estreme unzioni; eppure a me non pare affatto losco il crogiolarsi nel Sinodo e nelle pontificie accademie, mi sembra al contrario assai divertente, tanto che m’iscrivo subito anche a questa chiesa. Al Sinodo prendono parte patriarchi, arcivescovi maggiori e metropoliti delle chiese orientali cattoliche, cardinali, ausiliari, emeriti, preti diocesani, delegati fraterni, esperti, uditori e uditrici, coppie di sposi… E tutti a dir la loro, quella che ritengono un imprescindibile tassello della verità vera. Che fantastica gazzarra; le elucubrazioni teologiche, i raffinati pugnali dello spirito, il sinuoso destreggiarsi intorno al sesso degli angeli, è sempre stato e sempre sarà la mia passione. Adoro gli enigmi quanto i dogmi, mi fanno perdere la testa e sono pronto a tutto, al pari del mio antenato Umberto di Silva Candida, che per una bazzecola sul Filioque scatenò lo scisma della chiesa d’Oriente. Viva Agostino e Tommaso, Guglielmo e Anselmo; absconditus all’ombra del loro dubbio, Dio trascorre i suoi migliori meriggi. E che dire di coloro che buttando all’aria la tradizione di duemila anni pensano che il pur meraviglioso Vangelo debba essere ridisegnato da allegri pennelli, e la madre chiesa svezzata dalle sue manie? Gente del tipo “radiamo al suolo le fondamenta e anche il palazzo”?, piuttosto un infinito parco giochi ove irrompano gay e lesbiche, atei e divorziati, donne e trans, preti sposati giusto per far cagnara cantando il più bel video che la Divina Provvidenza mi ha dato di vedere e di sentire, “Uno di quei giorni”, di J-Ax in splendida coppia con Nina Zilli. Le chiese si riempiranno di canti e balli, più nessuna discriminazione ma amore e anche altro, ché mica sono scemi quelli. Ecco, fin d’ora m’iscrivo anche alla loro chiesa, a ciascuno la sua, a chi la adora per le fondamenta, chi ne apprezza i dettagli, chi l’abbraccia per far casino, va tutto bene purché regnino l’intelligere e il facere, purché ciascuno ami il Dio suo e ami anche l’Altro, il Buon Samaritano. Ma se devo confessarmi, dico che particolarmente io venero anche un quarto Dio, quello in cui le cose ineluttabilmente precipitano una nell’altra secondo un misterioso moto, scrive Lucrezio sfidando la già strepitosa religione dei suoi padri per donare al mondo la divina poesia del De rerum natura: “It ver et Venus, et Veneris praenuntius ante pennatus graditus, Zephyeri vestigia…”.