Il comico Ignazio

Umberto Silva
Collezionista di gogne da esibire come trofei, Marino dispensa godimento a tutti a noi

    Il sindaco chirurgo Ignazio Marino mi dà l’opportunità di sindacarlo e chirurgicamente analizzare il suo estro comico, ben superiore a quello del grande Benigni, ché se Woody Allen avesse avuto la possibilità di conoscere Ignazio avrebbe girato con lui un film assai più divertente del famigerato “To Rome with Love”. Roma è ben più geniale e folle di quella cinematografica derisione, e Marino è irresistibile: se non fosse che per noioso patriottismo devo (dovrei) preoccuparmi delle sorti della città eterna e, al pari di tanti, lamentarmi dei cassonetti e di altre sciocchezze – sciocchezze, sì, Roma è eterna grazie ai sontuosi Papi e non certo ai prudenti sindaci – sottoscriverei volentieri l’encomio dei cinquantamila fedelissimi marinati. Naturalmente per ragioni opposte alla loro: non perché penso che Marino sia un super sindaco ma perché lo stimo un grande attore comico, il che è meglio, molto meglio, in tempi di svago. Ma siccome mala tempora currunt, capisco anche chi vuole sbatterlo fuori dal Campidoglio a pedate, scena anch’essa assai sfiziosa, alla Chaplin.

     

    Cosa di Ignazio Marino lo consegna alla gloria? Molti hanno inteso e sottolineato la sua voglia matta di farsi del male, tuttavia io non penso che sia il male che Ignazio cerca, quanto un simpatico godimento che dispensa a noi tutti; senonché preoccupati lo respingiamo e condanniamo questo godimento, frutto della sua arte, in tal modo mostrando quanto il nostro tetro moralismo possa risultare deprimente. E lui, Ignazio, davanti a tale sorda irriconoscenza giustamente allarga le braccia, alza gli occhi al cielo che più non gli è amico e si chiede perché, perché rifiutiamo i suoi munifici doni, le sue allegre stravaganze, le gogne alle quali si espone come un marchesino del Grillo, compiaciuto delle sue gag, ammiccando al popolo di ammiratori e denigratori, i più pazzi per lui. Alza i suoi spiritati occhi al cielo ma non li abbassa, ci guarda e ci incita a gioire dei suoi colpi di scena, a non badare al sodo quanto agli effetti speciali del suo portamento, invero gradevolissimo, sia quando va in bicicletta che quando abbraccia il suo popolo. Da dove arriva tutto questo piacere che la gogna pare donare a Marino, ogni volta esaltandolo e rilanciandolo in garrule iniziative? Innanzitutto, cos’è la gogna? La gogna è il tappeto rosso della vergogna. La vergogna può gettare in un godimento estremo; la masturbazione, l’orgasmo, i serial tivù, niente le è comparabile: il fallimento sessuale è la gogna più ambita, quella da tenere sempre nel pugnetto: dimentichiamo le donne che ci hanno amato e perfino quelle che amammo ma non la stronzetta che ci derise scaraventandoci nell’inferno, quella la teniamo ben stretta sur l’océan des âges. Crogiolarsi nel fallimento, insultarsi, rammaricarsi, riempie la vita come nient’altro; godimento che si rinnova a ogni ricordo, a ogni incontro, perché questa è la peculiarità della vergogna: ci si vergogna di quel che non si è fatto e mai di quel che si è fatto. Persino i crimini più loschi sono spesso motivo di vanto e consolazione: anche quando, rinsaviti, li si condanna, si trova comunque il modo di conviverci più che brillantemente.  Ebbene, pur essendo patrimonio di tutti gli umani, quasi, la vergogna non lambisce Ignazio Marino, lui è oltre, e delega a noi sciocchi mortali il compito di vergognarci per lui e di lui. Ignazio fa un giro in più, il suo godimento non si ferma alla gogna e alla vergogna, le dribbla, le sfotte, le cerca per mostrare di essere più forte di loro, di padroneggiarle, e ci riesce: là dove tanti piangono inebrianti lacrime che li fanno sentire dei fantastici luridi porci schifosi – il sexualy incorrect praticato da tanti politici – Ignazio ride, il che va oltre, nell’infinità del transumano. Marino è ghiotto di giocattolose sbadataggini, il puer aeternus di Jung e Hillman, rabbioso solo se gli tolgono di mano il giocattolo preferito, la gogna. Collezionista di gogne da esibire come trofei strappati a un immaginario nemico, Marino nemmeno davanti al Papa si ferma, e della papale sconfessione – poco caritatevole, ma chissà cosa ha combinato Marino in Vaticano – il nostro eroe fa un pregiato souvenir.