Per l'amor di Dio
Cosa dire a quel vecchio satrapo che vuole risposarsi in chiesa con una giovane innamorata?
Inutile darsela a bere: il Sinodo legittima i divorzi affidati al discernimento… dei sacerdoti! Chi fino al giorno prima unì, ora dovrebbe dividere?! La spada della nuova dottrina taglierà l’antica come Salomè la testa di Giovanni? Un pasticcio denso di disastri, se disastri ben maggiori già non occupassero gran parte del nostro tempo. In realtà sembra denso di niente, un pasticcio acquoso. Il no ai divorziati era quel che era, giusto o sbagliato pur sempre un fulmine della Madre chiesa, istituzione rinomata nei secoli, qualcosa che scatenava dolore, desiderio, pietà; adesso siamo in un fatiscente teatrino che spalanca scene grottesche. Ci si appella al n. 84 del Familiaris consortio, là dove si sottolinea la differenza tra “quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido”, e di questo divario i preti che decidono dovrebbero tenere conto. Ma chi mai può discernere? Solo Dio può cogliere il vero profondo pensiero di un uomo. “Papa Francesco da buon gesuita conosce quest’arte”, sentenzia un futuro Papa, il cardinale di Vienna Schönborn, “bella fonte”, omonimo della fatale Schönbrunn, reggia dei mitici imperatori. Ma neppure Francesco è Dio, anche lui sbaglierebbe come tutti noi saccenti scrutatori dell’anima, solo Dio onniveggente può discernere il giusto dal reprobo e mandare Valentino in paradiso e Marquez all’inferno.
Per capire a cosa si va incontro con lo spappolamento dei precetti e dei dogmi immaginiamo la scena di un prete delegato che convoca un divorziato in cerca di ostia. La seconda sposa è una ragazza di venticinque anni, lui ne ha quasi il triplo e non può fare a meno di Dio, e di lei. Che non può fare a meno dei suoi quattrini, pensa il prete, commettendo così un peccato di pregiudizio, come se le giovani donne non potessero amare un vecchio signore. L’anziano gentiluomo piange davanti al sacerdote che ha in mano il suo destino religioso, dice che in questi ultimi anni di vita vuole ritornare nella chiesa, ricorda tutte le donazioni che le ha elargito, certo ha lasciato la vecchia sposa per una giovinetta, ma per amore, al di là di ogni lussuria. Perché non accoglierlo? “Perché è un porco”, taglia corto la prima moglie, sopraggiungendo trafelata, accompagnata dalla segretaria. “Un vero porco”, spiega al prete che, spaventato dal suo gesticolare, istintivamente si è ritratto come alla vista di un animale pericoloso. “Mio marito è sempre corso dietro alle ragazzine. Se volete riammetterlo alla chiesa fate pure, avrete un porco in chiesa”. La segretaria annuisce storcendo le labbra. Il vecchio tace, come sempre nel corso del suo lungo matrimonio.
“Lei signora deve avere sofferto molto”, le dice il prete. “Macché soffrire”, replica la vecchia seccata. “A parte qualche chilo di troppo anch’io sono in gran forma, non trova?”. Il prete è tristissimo. Che fare? Interpellato se assolvere o meno dal suo peccato divorzista il vecchio satiro redento e affamato di Dio, io non saprei che dire, non riesco ad avere un’idea chiara su simili faccende, se l’avessi non sarei uno psicanalista ma un paranoico. Penso tuttavia che sposarsi in primis in comune, per vedere come vanno le cose, e in chiesa solo quando lo si è capito, magari al secondo o terzo matrimonio, sia il modo migliore per non mettersi nei pasticci. Chiuderei un occhio anche su chi divorzia da una stronza o da uno stronzissimo, ma gli consiglierei di non sposarsi più, poiché chiaramente non ha occhio nella scelta, o ce l’ha troppo: gli stronzi sono gettonatissimi. In ogni caso il discernimento ecclesiastico mi pare cosa d’altri tempi, pretenziosa, inefficiente e terroristica; mi ricorda tanti anni fa quando all’esame di leva i medici militari ci facevano tirar giù le braghe per ispezionare il nostro stato di salute sessuale: anche a chi mai aveva toccato donna, uomo o cane spuntava la sifilide. Meglio, molto meglio, lasciare a ciascuno decidere se è degno di accostarsi a Dio, se è degno sentirà l’alito divino sul suo volto, se indegno si punirà con l’alito del bacterium coli. Nessuno la fa franca. Consiglio un libro di Simenon appena uscito da Adelphi, “I clienti di Avrenos”. Leggetelo tutto in una notte: c’è Istanbul negli anni Trenta e con ciò già si dice tombola, ci sono due ragazze che si contendono un cretino, e una lo sposa per restare vergine mentre l’altra lo scopa per buttarsi giù dal palazzo… Leggetelo tutto d’un fiato, vi passeranno le matrimoniali emicranie e le pie conversioni mentre vi verrà voglia di Bosforo, pesce essiccato e uova di luccio, il tutto innaffiato da uno squisito raki di mais e prugne.
Il Foglio sportivo - in corpore sano