Capodanni o caporali

Umberto Silva
Contro la solfa di chi si è lamentato del “cominciamento coatto” del primo dell’anno

    Cito l’italiano Antonio Gramsci che diceva testualmente: Io odio il Capodanno. Anch’io lo aborro. Un cominciamento coatto, come se bisognasse festeggiare l’inizio e il rinnovamento a inizio anno e poi basta. Il rinnovamento deve avvenire ogni giorno dell’anno”. Con questo minaccioso avvertimento Diego Fusaro inaugura l’anno di grazia 2016, facendoci piangere sulle ceneri di Gramsci ma ancor di più su quelle dell’altrettanto indimenticabile Massimo Catalano, magistrale dispensatore dell’ovvio in “Quelli della notte”. Mi dicono che Fusaro sia un giovane e acclamato filosofo e non ho ragione alcuna per dubitare ma ho tutte le ragioni per non leggerlo, devo infatti confessare che la filosofia di questi ultimi due secoli mi annoia. Per me termina con l’Ecce homo, il testamento dove Nietzsche si denuda e sputtana in modo così esaltante da farmi inginocchiare ai piedi della sua croce. Se il magniloquente Zarathustra mi fa ridere per la sua sublime scemenza, l’Ecce Homo, opera comica per eccellenza, mi fa piangere per la sua profonda verità: lì la filosofia incontra la smagliante derisione e divina conclusione. Se ne accorse Sigmund Freud che raccomandò ai suoi allievi la lettura dell’Ecce Homo, quel Freud che insieme al catarro delle isteriche raccolse la trasfigurazione dell’ultimo grande filosofo, sostituendo alla filosofica visione del mondo lo psicanalitico ascolto dell’immondo.

     

    Torniamo a Diego Fusaro, che da ambizioso giovanotto ha il suo scatto ribelle: “Io odio il Capodanno”, annuncia con un grido di guerra che evoca il famoso sbotto di André Gide: “Famiglie vi odio!”. Sarebbe stato più comprensibile se Fusaro avesse detto: “Odio il Natale”, il Capodanno essendo tra le feste comandate la più innocua, extrafamiliare occasione di baci rubati. Se Fusaro si fosse limitato a dire “Io odio il Capodanno”, in omaggio alle mie giovanili intemperanze avrei applaudito; ma Diego Fusaro non si limita a questo e tiene a chiarire che col Capodanno siamo in presenza di un “cominciamento coatto”, e questo è troppo, ogni spiegozzo risulta mortale. Si possono odiare le tapparelle e i cannolicchi, tutti gli odi sono attraenti, ma chiarire il perché di un odio suona patetico. Eppoi, un cominciamento coatto puoi sempre rifiutarlo, siamo Capodanni o Caporali? Nessuno può obbligarmi a andare a Capodanno a cena dai Chiodati-Ferrati, il Capodanno fa un’offerta, due, tre, e puoi accettare o rifiutare. Io dai Chiodati non ci vado. Ma poi ci vado, perché lì c’è qualcosa di disumano che mi attrae. Se poi alla festa partecipa una donna particolarmente affascinante, perché no? Per il timore che costei gli altri giorni dell’anno sparisca? Meglio così, a volte. Insomma il Capodanno è tutt’altro che coatto, coatto è chi ogni anno ripete il lamento del Capodanno coatto. Con tutto il rispetto per Gramsci, in fatto di coazione e servitù gli preferisco E’tienne de La Boétie che a diciassette anni scrisse l’impareggiabile Discours de la servitude volontaire, la serie tv “Downton Abbey” dai magnifici maggiordomi e, naturalmente, il Fantozzi di Paolo Villaggio, laddove la piagnucolosa storia degli umiliati e offesi è spudoratamente sovrastata dalla brama di servilismo che di riffa o di raffa alberga in noi tutti.

     

    Sempre più vecchi

     

    Tanti anni fa un mio paziente mi confessò d’incontrare i suoi momenti più appaganti nel pensare cosa avrebbe potuto dire a quel mascalzone di Adolf Hitler per fargli piacere. Quando la seduta finì io stesso mi sorpresi a chiedermi cosa il vecchio Adolf avrebbe voluto sentire.

     

    Fusaro ci accusa di festeggiare l’inizio dell’anno e poi basta. Ma chi glielo ha detto? Belzebù? Chi ha detto che basta? Fusaro l’ha detto, per poterci ammonire: “Mi raccomando, il rinnovamento deve avvenire ogni giorno dell’anno”. Grazie tante, tutti conoscono questa solfa e la sfoggiano a scuola, la rivendono nelle saune, te la tirano addosso quando meno te la aspetti, che so, mentre mangi il cous cous. Meglio crepare che sottoporsi a certe fatiche, sarei costretto a diventare più buono con la certezza pressoché totale di diventare un cretino nuovo di zecca. Sia mai! Alle donne si addice la boutique colma di novità, io metto le giacche di mio padre, i cappelli di mio nonno, i polsini del mio bisnonno e i calzini di mia figlia. E poi, a furia di rinnovarsi si diventa sempre più vecchi, avete fatto caso?