La guerra dei sensi

Umberto Silva
Le statue coperte e il ricordo di quel periodo in cui oriente e occidente ballavano nell’eros

    Eros governa le umane vicende facendosene beffa e gloria, scatenando derisioni e passioni. Evviva le statue inscatolate, l’ondata di buonumore che hanno suscitato in Italia, in Iran e in tutto il mondo. Altri si sono indignati, hanno visto Roma prona al persiano e furiosamente hanno protestato, e va bene così, un po’ di sana virilità. Un grazie anche a Rohani, la sua parte resta misteriosa, come si addice all’orientale costume. Ringraziamo tutti coloro che si sono prodigati in questa elettrizzante kermesse, e cogliamo l’occasione di salutare con ammirazione il funzionario televisivo che a Capodanno ha preso Crono per il collo. Punirlo? Promuoverlo semmai, una potente hybris l’ha spinto a varcare invalicabili confini.

     

    Ridicolo ora affannarsi a inscatolare in giudiziarie diatribe chi ha inscatolato le statue, anche perché la storia è un’altra: stanchi di essere guardati a vista dai guardiani e dai turistici guardoni, gli dèi e le dee e gli eroi hanno architettato la rivolta e sono scesi per le vie di Roma, accolti dall’occhio fraterno di De Chirico, Savinio e Scipione, il pittore più caro agli dèi, che a sé lo trassero al quarto anno di infuocato lavoro. Gli scatoloni erano vuoti, più si cerca di imbrigliarlo più il desiderio si scatena, come il chador che Oriana Fallaci gettò ai piedi del torvo Khomeini chiedendogli se davvero la considerava una vecchiaccia poco perbene. “E lui mi avvolse in un lungo sguardo indagatore da cui mi sentii spogliata”. E’ il fuoco d’artificio di quando una sublime isteria sfida la protervia di una feroce paranoia, e vince: calpestando il chador l’eccitatissimo Khomeini fuggì via senza voltarsi. Un paio di anni prima, lo Scià regnando, giravo un documentario nel più gran bordello di Teheran, una cupa torre dove per inferi gironi scorreva una fumante urina. Le donne erano avvolte in nere imperscrutabili vesti, “Niente cinema, è proibito rubare l’anima”, minaccioso il pappa ammonì Navid, il Virgilio della troupe. Ma gli occhi di quella ragazza – o vecchia o bambina o mostro o che altro – occhi che all’improvviso mi guardarono disperati – o incuriositi o rabbiosi o innamorati o che altro – da allora mi accompagnano – mi deridono o mi rallegrano o m’infiammano o che altro? Ogni notte lei vede i miei occhi e io vedo i suoi?

     

    Ammaliante il tempo di quando la sapiente lussuria orientale e l’apparente ingenuità occidentale giocavano l’ennesima partita cimentandosi nella sensuale arte dell’inganno, al cui centro sta l’inafferrabile solare menzogna: la verità. Lawrence – Durrell ma anche d’Arabia – nel “Quartetto di Alessandria” tra i ricchi copti innesta Justine, l’ebrea che a tutti si dà nessuno amando, e gli abbandonati gridano il suo nome mentre l’inflessibile Atropo con lucide cesoie recide il filo della loro vita. Morte migliore non c’è, sorride Eros. Intanto i consoli inglesi e le loro mogli erano sedotti dai maharaja e viceversa: last but not least, Jawaharlal Nerhu amò riamato Edwina, la bella moglie del viceré Mountbatten; amori incrociati cari al Goethe del “Divano occidentale orientale” la cui gemma è il Libro di Suleika, l’hafiziana che impersona  Marianne von Willemer amata da Hatem, la controfigura persiana di Wolfgang. Che patrocinando l’amore ha dure parole per chi vieta alle donne il paradiso in terra e in cielo.

     

     

    L’Isis che tutto distrugge

     

    Ora in oriente imperversa una bestiale truppa che distrugge templi, donne, regge, e tabarin, Eros è scomparso. Possiamo solo sperare che si sia rifugiato in alcuni popoli dove ancora aleggia la sottile febbre dei sensi e delle maschere; il Marocco: un raffinato re e una delicata regina possono ospitare amorosi intrighi; il Qatar: una sorella di sceicchi accumula capolavori inseguendo un oscuro desiderio; la Giordania: una regina forse coltiva un caro dolore; Abu Dhabi: la sfrontata ricchezza vacilla davanti alla tirannia dello specchio; persino l’immota Arabia Saudita è nel Grande Gioco, attendendo il regicidio con la stessa trepidazione con cui l’amante scruta dalla finestra dell’hotel; infine Israele, naturalmente, il fiore del deserto. Diamoci da fare, solo un arcano amore tra oriente e occidente può farli rotolare insieme nel più san(t)o dei vizi, la guerra dei sensi.
    Umberto Silva