Il Santo Natale è quanto di più espiativo possa esserci. Cedimenti pantagruelici a parte
Feste e sensi di colpa. Possibile che nemmeno allora si possa stare in pace?
Invece di allearsi per fermare Assad e l’Isis, Obama e Putin hanno avuto la bella idea di riempire l’uno e l’altro di armi, l’uno contro l’altro, sicché potessero scannarsi a volontà. Putin è senza scrupoli, Obama è senza palle. Elegante però il giovanissimo turco che scelleratamente uccide l’ambasciatore russo, un’immagine di cent’anni fa, un museo profanato che resterà nel cuore degli artisti. Ma ora che dopo aver sventrato i mercati dell’oriente il demonio squassa i mercatini natalizi di Berlino, che festeggiamo? Il Natale, naturalmente. Il Natale è alla porta e noi tutti ne siamo santamente prigionieri. Vano pensare di squagliarsela in qualche isola esotica, ovunque andiamo la religione ci segue come un fedele padrone. Tanto vale stare ciascuno al proprio posto, nella domestica quiete attendendo l’arrivo del Bambin Fatale, quel bambino che da piccoli attendevamo con gioia e ora con qualcosa d’altro, con un’inestinguibile senso di colpa, e poiché i piccoli più velocemente diventano grandi, anch’essi hanno il triste dono di parteciparvi. Colpa per tutti questi tempi di strage cui noi italiani assistiamo senza poter fare molto, anzi in oriente men che nulla; saremmo ancor più depressi e colpevoli se non fosse per i migranti che abbiamo salvato e accolto, meglio e più generosamente di tanti altri. Naturalmente anche in Italia c’è chi avrebbe preferito che i migranti crepassero nell’azzurro mare, non abbiamo potuto gettare bombe su Aleppo però avremmo potuto mandare a fondo le barche, abbiamo perso un’occasione, siamo proprio dei cretini. E spendaccioni. Sicché capitan Renzi, che si è prodigato per salvare i fuggiaschi, va mandato a fondo annodandolo a uno sciagurato referendum, che lui deve aver scambiato per albero natalizio.
Possibile che nemmeno a Natale si possa stare in pace? No, non è possibile, Satana è sempre all’opera, e tanti di noi sempre pronti a dargli una mano. Occorre ben altro dei lamenti e delle accuse per sconfiggere il male, occorre far del bene, il che risulta sempre piuttosto fastidioso, seccante, noioso, faticoso. Anche se Dio – che altri chiamano Inconscio – è sempre vigile, pronto a punire l’indolente rifilandogli oscure tristezze, costui è dal canto suo pronto a fregarsene, preferendo la punizione alla contrizione. Invece di contribuire alla salvezza dei miseri e magari addirittura scendere in campo con legittime armi, costui scende a patti con se stesso, e quel che sarà sarà. Ma vi sono anche menefreghisti che a un certo punto si spaventano della propria sordità, temono che Dio possa infierire post mortem, improvvisamente si pentono e cercano un modo per diventare più buoni, più partecipi all’altrui miseria. Ma che fare, spaventati si chiedono. Riscattarsi, ad esempio, evitando di mangiare un bel tacchino guarnito di tutto accontentandosi di una francescana zuppa? Sì, bravo, così mandi in malora allevatori e salumieri, una bella cattiveria, specie di questi tempi. Il tacchino va mangiato, e anche tutto il resto. Ma non solo per salvare i macellai quanto per salvare la nostra anima. Contrariamente alla gioia che gli si chiede e si pensa di ricevere, lo stramangiare natalizio è infatti una delle massime autopunizioni: ci si riempie in modo tale che dopo un po’ si sta malissimo nella pancia e nella testa. In cuor suo il mangiatore lo sa, per questo mangia, sa che sarà punito, la sua è una forma di espiazione, e questo va bene. Il Natale è quanto di più espiativo, contrariamente al Venerdì Santo che nella sua sobrietà è sereno e allegro, come ben sanno i monaci e i frequentatori di chiese. Fin troppo sereno, al punto che l’espiazione ostentata nel Venerdì Santo può rilasciare un profumo di godimento che un tacchino cotto con lenticchie e mostarda se lo sogna.
Il Natale è soprattutto la festa dei bambini, spesso massacrati da genitori bulimici che li vogliono, ancor piccini, trascinare nell’inferno del pantagruelico. I bambini sono costretti a mostrare entusiasmo per timore di un triste sguardo genitoriale, ancora più ricattatorio. Personalmente il Natale mi premia regalandomi tutti i sensi di colpa della mia oramai lunga vita, un migliaio di autoinsulti più gustosi di dieci panettoni, che tuttavia non esito a mangiare, un po’ perché ne sono ingordo, un po’ per espiare ancora di più e un po’ perché non so fare di meglio e io a Natale qualcosa voglio fare: non c’è gente più noiosa e insopportabile di quella che si annoia al Natale, o dice di annoiarsi, andrebbe punita con una forchettata satanica. Il che comunque non sarebbe male, in fondo, perché no, è sempre una buona espiazione mettersi al posto del tacchino, coi funghi freschi, con le puntarelle.
Il Foglio sportivo - in corpore sano