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Vacanze da incubo

Umberto Silva

L’estate è l’anticamera della morte, mi dice. Con tutti quei mari e quella gente che ci nuota dentro

Mi telefona un amico di sempre e come sempre mi dice che l’estate è tremenda, più dell’inverno che invece sa il fatto suo, molto più della primavera, che è divina solo per quel poco che c’è, che poi ti lascia ancora peggiore di quel che sei. L’estate, dice il mio amico, è insopportabile, non solo per il caldo ma anche per il freddo che ci si procura nelle case e che genera un mucchio di dolori, uno peggio dell’altro. Inoltre, sostiene, andare in vacanza è un bluff, un andare incontro alla morte travestita da qualcosa; mi chiede se sono andato o sto andando in vacanza e per scaramanzia di lui, non della vacanza, gli dico di no, non sono andato in vacanza, e come sono solito nella mia accondiscendente esistenza gli confermo che sono d’accordo con lui, e glielo confermo in un modo così annoiato e sfatto che lo sento contento, e questo mi piace, mi piace fare contenta la gente anche sulle piccole cose.

 

Ecco che allora, soddisfatto, l’amico continua a infierire sull’estate, ancor più sicuro del fatto suo, e mi dice che i mari sono insopportabili con la gente che ci nuota dentro, e che i monti fanno orrore tanta è la gioventù che scaraventa nella tomba attraendola con “sto maledetto scalare che porta solo all’inferno”. Taccio, e questo mio silenzio deve per un momento colpirlo, e allora subito gli dico che i monti mi deprimono e i libri sui monti ancora di più, e lui è tutto contento e mi dice che stavolta non farà vacanze nemmeno nella sua casa al mare, che secondo lui è il posto più orrendo della terra, e non capisce come abbia potuto, lui, comprare una casa così meravigliosa che ora gli pare cretinissima e viziosa. Approvo alla cavolo, come si può approvare dall’altra parte del cellulare, e sento che anche lui approva, e mi chiede se so dove lui quest’anno va in vacanza. Dove vai?, gli chiedo. Da nessuna parte, mi dice urlando fiero, proprio da nessuna parte. Me lo immaginavo, gli dico, e lui contento: sei dei nostri, ero più certo che mai, te ne stai in giro a fare chissà che ma non è vacanza, solo un po’ di casino come sempre nella tua vita. E’ da te, mi dice, che ho imparato a non fare vacanza.

 

In un certo senso quel coglione ha un bel po’ di ragione, ma mi secca che dica le cose su di me che anch’io penso, e così gli propongo un qualcos’altro. Beh, leggere le avventure di Trump è una gran bella vacanza, gli dico, non si fa un accidente e ci si nutre di niente. Non è proprio una vacanza, dice lui, ma te la passo, una quasi vacanza, sono d’accordo. Poi ci sono delle altre vacanzucce da fermo, dico io. Non dirmi leggere libri, ringhia lui. Me ne guardo bene, dico io, pensavo piuttosto a camminare avanti indietro in un posto qualsiasi non facendo niente e niente pensando. Dipende in che posto sei, dice lui. Un posto qualsiasi, dico io, un posto che non hai scelto ma in cui ti trovi; ti trovi che però nemmeno ci pensi dove ti trovi, e vai avanti ma potrebbe essere un indietro, e viceversa. Ma sì, dice lui, così si può fare, se sei veramente un rimbambito e non sai cosa fai, se invece ti credi un filosofo o qualche coglione del tipo sta attento che ti porto sul mare a meditare con tutti quanti che si toccano le palle. Sai quante volte l’ho fatto? No. Nemmeno io, a naso, un’eternità sì, una vera eternità. Una vacanza coi fiocchi, come si dice, di quelle che la sera ti trovi a cena e la mattina in spiaggia, e poi muori. Come muori?, mi preoccupo. Ma è un modo di dire, cazzo, che hai oggi Umberto, sei rimbambito? Sei in Vacanza? Sei filosofo?

 

Diventa minaccioso, l’amico, e mi tocca rassicurarlo. Macché filosofo, è la vacanza più idiota, lo rassicuro, potrei invece mangiare creme caramel in quantità fenomenale, per poi avere qualche crampo, qualche fastidio, sentirmi come non vorrei ma anche vorrei, che dici, mi sembra una buona cosa. Sento che il mio amico ci sta pensando, sento che sta cercando il mio nascosto tradimento, nascosto ma sicuro, sento che anche questa volta non me la farà passare liscia, e sbraiterà, per poi perdonarmi e volermi bene. Sento un mucchio di cose, la si chiami come si vuole ma la vacanza è sempre lì, in agguato.

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