Foto di N G via Flickr

Parlare tacendo

Umberto Silva

Niente è più analitico del nulla. Il silenzio dona moltissimo, ed è l’arte della psicoanalisi

Professore, si ricorda di me? Ma sì, certo che sì, si ricorda di quando entrai in questo suo studio la prima volta? Ma sì, sì! Mi spogliai tutta. Lo sa bene. Restai ferma per una mezz’ora, lo ricordo. Volevo che lei mi prendesse. Mi rivestii, le regalai un diamante, lo lasciai sul tavolo, ricordo. Due giorni dopo io non volevo, me lo strinse sul palmo della mano o qualcosa del genere, ero abbacinata, o qualcosa del genere. Mi agitavo tutta e mi tiravo su le gonne. Vero. Le piacevano le mie gambe? Molto. E il mio viso e tutto il resto? Certo che sì. Però non mi ha preso tra le sue braccia. No. Quello no, vero? No. No, non le prese. No. Eppure uscendo una volta la baciai e lei rimase immobile. Sì. Io avrei voluto restare immobile con lei per tutta la notte. Anche lei? Certo. Certo anche lei. Non l’ha fatto. No. Si ricorda come ridevo? Lo ricordo. Come piangevo quando lei taceva? Sì e no. E quella volta che gridai per un’ora? Lo ricordo bene. Lei mi amava. O almeno mi desiderava. Ma chissà. Perché non mi ha portato via? Non so. Portata via per un poco. Non sa eh. Mi amava? In un certo modo. E’ stato stupido, no. E’ ancora stupido. Forse. Non lo dico. Vorrei stendermi su di lei. Io, sì. La capisco. Vorrei stare tanto con lei. Lo può fare. Lei mi ricorda cose bellissime, una volta. Forse una. Le baciai la lingua, ricorda? Ricordo. Era magnifico, ricorda? So, lo sa, ricordo. Ricorda, lo so. Per anni mi rimpianse. Lo sappiamo. Ero magnifica, la mia gonnella al vento e quando diceva cose così. Ero bella vero? Ero magnifica. Perché non adesso? Troppo tardi. Macché, lo sa che sarebbe bello. Lo so. E allora? No. Uffa. Ma dica della sua famiglia. Ma che importa, io mi tiro giù le mutande. Non lo faccio. Perché. Non lo so. Non sa nemmeno perché? No. Non sa più nulla e fa lo psicoanalista? Vero? Gli psic sono così. Non tutti, quasi nessuno. La capisco. Lo so. Cosa posso fare per noi. Niente. Sei stato il mio amore, davvero. Ti ho amato. Sei un cretino. Può darsi, anche. Cosa facciamo. L’ora è finita. Ritorno? Certo se voglio. Certo che voglio. Qualcosa me lo impedirà. No. Vedremo. No. Ti bacio? No. Perché tutte e non me? Non tutte. Anch’io sono non tutta. Le voglio bene sai, da farmi male. Le do il bacio che ti diedi e tu ? Se vuoi. Ora mi stacco. Fa come vuoi. Non mi stacco no, mi sente? Un po’. Vero? Terribile uno psic. Sei un cretino. Tutti gli psic lo sono. Allora vieni da me. Non posso. Abito non lontana. Non posso. Hai ragione. Mi fai ridere, sei sempre carino. Cretino. Eri carino allora. Così così. Così. Addio, non torno. Credi? Credo? Un giorno?”.

 

Smette di non parlare ed esce dal mio studio senza voltarsi, alza le mani e mi saluta. Sempre lei e solo lei ha parlato tacendo, sempre immobile, senza piangere né ridere; io non ho detto una parola, nemmeno una consonante per tutto il tempo. Il silenzio dona moltissimo, il mio silenzio e il suo, così carico di parole che non sono quelle che dice, naturalmente, sono quelle che dice celandole per lei e per me, un regalo che la psicoanalisi dona a chi nel mistero l’ascolta. Mi è sempre piaciuto quel suo dispotismo che inginocchiandosi si dona. Spalanco la finestra per vederla uscire dal giardino, perché possa sentire il rumore del vetro; non si volta, non c’è bisogno di voltarsi quando si è sempre volti, volti attenti, il suo a dire del mio, il mio del suo. Le lancio un saluto dalla finestra, il saluto sale su per il pioppo. Perché tutto questo tempo non ci siamo visti, un tempo lunghissimo? Penso, e credo che lo pensi anche lei: un tempo lunghissimo è fantastico, ci sono tutti i motivi per dire quel che occorre semplicemente tacendo, per dire in silenzio, parlando. Niente è più analitico del nulla. Il silenzio è l’arte della psicoanalisi. Apre il cancello che già era aperto e ora sta sparendo. Il cancello, lei. Il suo mantello blu. Chi cancellerà il nostro incontro? Mi ha detto che non verrà più a trovarmi, io non ho detto una sola parola, gentili lettori, ricordatevelo, in tutto questo tempo niente ho detto, salvo mutacicamente interrogarmi se era bene o male, o entrambi. Entrambi. Diceva sempre tantissime parole del tipo “un giorno ti dirò quel che non vuoi sentire, una musica, una musa”. Mai disse quel che non volevo sentire, mai disse quel che sentire volevo; dice quel che mai vorrebbe, soprattutto dire, e mai direbbe quello che vuol dire. Complicato? Delicato. La finestra si chiude; la finestra, la faccia. Lo psicoanalista cammina tre passi di qua e due di là. Accende la luce perché si è dimenticato del buio. La rispegne, annoiato. Un giorno vi mostrerò il suo studio, c’è una sola penna, sempre per terra.

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