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Pioggia di notte

Umberto Silva

Quella dolcezza che spegne ogni desiderio di morire e accende quello di vivere non si sa dove

Camminare nella pioggia di notte è quella dolcezza che spegne ogni desiderio di morire e accende quello di vivere non si sa dove; si comprende che si sta camminando e qualcosa ti porta altrove, un altrove che ti riempie di felicità come non mai, una felicità di cui non conosci la ragione e, a un certo punto, neppure sai dove sei, non conosci il luogo, non incontri chi pensavi di incontrare, avevi un appuntamento e l’hai smarrito, quello smarrimento che non hai alcun desiderio di incontrare se non quello di perdere la vista e finire in un altro luogo, sempre lo stesso, più bello che mai, e ti chiedi perché sei lì e a cosa fare, se qualcuno ti sta guidando e tu lo conosci e pensi che da un momento all’altro sbuchi da te stesso, e scoppi a ridere, e comprendi che è giusto quel che dici e invece no, non sei lì. E nemmeno sai dove sei, e ridi, sempre ridi, un riso che ti alza le mani che cadono sulla tua testa e ridono anche loro, le più belle che ti ridono addosso, e le raccogli tutte, dolcissime e severe, tutta la tua testa sul viso, e sui piedi che sono i più forti, senti la loro forza, sai che ti traggono ovunque, la loro bellezza è senza fine, ti portano là dove non pensavi mai di arrivare e non stai arrivando. Arrivando? Figurarsi, sarebbe ridicolo tutto ciò, ridi come un pazzo, uno di quelli che ti portano di qua e di là e non sai dove ma lo sai, dove, e scuoti la testa, e la alzi, e all’improvviso, dopo un secolo di non so che, vedi tutta a un tratto la pioggia, la pioggia di notte, quella dolcezza che incita ogni desiderio di morire vivendo, tu invochi questo desiderio, magnifico, portentoso, una felicità senza fine, lo sai, lo immagini, sei lì con lui, sei con te e con la notte che vedi e senti dentro di te, senti quella tua voce, sai che sei dentro una casa che conosci e tutto ti scuote, sai che sei arrivato, in quel luogo che mai arriverai, sei tu non un altro, un altro è lì ma senza fine, dove siate lui e lei mai lo saprete eppure siete lì e non lo sapete e siete lì quel che la conoscete e lei è lui, quel lui che tu sei, e sai dove lei ti porta. Ti portò quel giorno, pioveva, era notte e arrivaste all’alba che era buio ma un’alba senza fine e così camminavate guardando quelle stelle che potevate fissare ma non troppo perché per voi eravate distanti come due che si abbracciano ma si baciano per non sapersi così amanti solo per sentirti poco, quel poco che la pioggia a fiotti vi chiamava luna, una, l’una con l’altro, l’altra sei stata sempre sovrana e santa come quell’altro che ride tra le foglie e le foglie ridono di sé se saprete dove quando il vostro bacio sarà suo perché tuo, e la notte ti verrà incontro e la pioggia amerà la tua gioia e quel che di raro lo dirai tu e quel che lei tacerà chissà, ma sarà, fortemente sarà...

 

Guardo la pioggia dalla finestra, poi, tra poco, dormirò con la finestra aperta, mia moglie dorme in altre stanze, mia figlia, come me, da qualche parte della casa scruta qua e là qualcuno che le telefona da chissà dove, c’è sempre qualcuno a chiederle dove è, tutti siamo la nostra ombra, la ascoltiamo come fosse la nostra gioia notturna, la più forte, spietata, carica senso a non finire, finché non appaia qualcuno che ci si presenti come chi deve morire, e sale, sale sulle cornici e non muore, ride il suo bel volto, cadrà da qualche gioco ma senza morire. Ricordo che da piccolo morivo sempre quando cadevo da un albero che pioveva ma non morivo mai, la pioggia era sacra, eravamo tutti sacri in quell’epoca, vedevo mia madre cercarmi ovunque e spariva chissà dove, davanti a se stessa. Ero io a questo punto a cercarla, ma non gridavo, a un certo punto la intravvedevo nel bosco e la seguivo, meravigliosa; le domestiche la cercavano di qua e di là, la vita era tutta, tutta. I guardiacaccia fumavano, ammirati e sapienti di quello che si andava a morire.

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