Dolce psicanalisi
L’incontro di due ragazze che si amano e scardinano e rallegrano tutto quanto
Suona il campanello, come se Amal si svegliasse da un lontano pensiero. Sicuramente è forse così, e quando scatta in piedi per introdurre una giovane donna, giovane come Amal, la conduce nella stanza dei balocchi – così Amal nomina lo studio. Che tipino Amal, la mia tuttofare; starà pensando a un giovanotto di ieri o di domani, tanto che prende il cappotto della giovin signora che a sua volta è assai con la testa altrove, come a dire che entrambe sono rapite da un pensiero, come a dire che il pensiero è il loro pensiero, un pensiero bello e forte, pensiero celeste. Si guardano, come se avessero la stessa bellezza, si sorridono, si somigliano in modo tale che davvero si vogliono, subito, al primo sguardo, e si toccano, e non si lasciano. La giovane donna non lascia il cappotto, Amal non lascia i suoi occhi, e la giovane sembra a sua volta tutta presa da quella di Amal, come se capissero non so cosa, come se si capissero a fondo, ed entrambe governassero la sala, con l’attesa dello psicoanalista, che prima o poi sbuchi dalla sua stanza. Ma lui non appare, non sbuca, lui, ovvero io, per il semplice motivo che sono nascosto dietro la porta e ascolto e tutto il resto se non altro e altro di più, lui pensa, io – lui, per carpire entrambe la profonda veridicità della loro vita, rubata in modo fantastico a entrambe, e dal terzo, che a sua volta si carpisce, carpisce qualcosa di profondo di sé, un abisso, come si potrebbe pensare al Rosenkavalier di Strauss, e le due ragazze, più io la terza, figurarsi! Finalmente si chiude il canto, e con passo dolce la giovane donna sorride ad Amal ed entra nella mia stanza, che nel frattempo si è ritirata su se stessa. Io, lo psicoanalista, sono ritirato su me stesso e mi alzo e saluto la ragazza, e la faccio accomodare qui e lì ma lei dice qui e là e io resto un po’ incerto, qui e là, e lei si siede qui e si guarda attorno, si alza e si siede, sa, e mi chiede se devo sedermi qui o là, e io dico dove le piace, e lei dice: “Prima qui poi eventualmente là”, e io muovo la testa, soddisfatto, e lei un po’ perplessa che quasi dice lì e poi là due volte ed è così carina che mi par di sentire Amil che sta sentendo, e in effetti penso che Amil senta alla porta come ogni tanto sento anch’io, perché mi piace sentire, e sbirciare, ha una bella gonna, un bel tutto naturalmente, e mi pare di essere, essere dico, mi pare di essere e essere è meraviglioso, sento che parlare con quella donna… “Mi dica, signorina”. “Cosa devo dirle? Ho paura, lei mi fa paura, io credo che lei possa farmi tanta paura, io credo che lei possa amarmi, io penso che lei possa volermi bene e questo è terribile perché io la amo e quindi potrebbe farmi del male. E la prima volta che la vedo, professore, che dice? E’ la prima volta che dico io, che dico? E’ così bello dire qualcosa, sa, mi fa anche un po’ ridere, pensi che sono qua e avevo tanta paura finché ho incontrato la sua ragazza, la ragazza che l’aiuta per qualcosa, credo, ha un viso così simile al mio che sembriamo molto due pazzerelle, sa. Sono qui da lei per capire cosa si sente quando non si sentono certe cose, io sento che ora sento lei, sento che non ho più paura, sento che adesso davvero la sento, lei e la sua donna, vi sento, sento che c’è un sentimento tra di voi l’ho sentito dalla vostra finestra, la vostra finestra è magica, qualcosa mi attira sempre, pensi che ho la testa matta e continuo a chiedermi se devo stare seduta qui o là, dove ora sono seduta, ma così è come fossi già seduta altrove e non seduta, senonché fossi, in tal modo, sempre seduta da qualche parte, un sedere, lei dirà, un sedere dove sono sempre seduta con me stessa e tutti quanti, c’è qualcosa di sacro e magico, sono viva e sacra, io la guardo e mi viene da baciarla, sa, ho venticinque anni e la bacerei perché all’università mi hanno baciato tanti ma non mi piacciono, vorrei baciare lei, sa, solo perché così le direi di no, e la bacerei subito, tantissimo. Ha capito?”.
Divertente ragazza. Capito? Una parola un po’ grossa, a me piace capitare da qualche parte, apparentemente quella dove sono, in realtà sogno e non sogno, sono non è sogno, nemmeno sonno, è un sentiero semmai. Mi sembra che la ragazza si stia abbandonando un po’ di qua e un po’ di là, è il momento che la svegli, o che mi svegli con lei, e la porti al pensiero.
“Mi dica, cara Giulia, per caso lei è…”.
Salta su, spaventatissima. “Amal!”. E ride, ride, e Amal spalanca la porta, ed entrambe ridono, e appoggiando leggermente la testa, le guardo e sogno. Entrambe sono meravigliose, e se io sono solo quel che sono, è perché sogno, dolce psicanalisi e prossima morte, lontana.
Il Foglio sportivo - in corpore sano