Come è cambiata l'energia dal 2000 al 2018? Non ai ritmi necessari per la transizione energetica
Alberto Clô mette a confronto i mutamenti intercorsi nel mondo dell’energia negli ultimi 18 anni con quelli auspicati nei prossimi 22, orizzonte verso cui si proiettano gli scenari previsivi per conseguire gli obiettivi climatici assunti a Parigi
La fotografia dell’energia nel mondo nel 2018 presentata nel precedente post solleva molteplici ragioni di preoccupazione sulla reale possibilità di conseguire nei tempi necessari gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di comprimere l’aumento del riscaldamento del Pianeta entro almeno i 2°C.
Ragioni che non perdono vigore ma che anzi si acutizzano se passiamo a sfogliare l’album fotografico 2000-2018: un lasso di tempo (18 anni) non molto dissimile da quello (22 anni) che ci separa dall’orizzonte del 2040 cui si proietta la generalità degli scenari previsivi e che consente di estrapolare ed analizzare le tendenze in atto.
Anche in questo caso, riassumiamo i risultati in 4 punti:
1. crescono gradualmente i consumi mondiali di energia da inizio Millennio
2. il mix energetico globale resta sostanzialmente invariato
3. la curva dell’intensità energetica resta sostanzialmente inalterata
4. il mix delle fonti nella generazione elettrica resta sostanzialmente invariato
Primo: i consumi mondiali di energia hanno segnato soprattutto dall’inizio del Millennio una graduale crescita, interrotta solo nel 2009 a causa della crisi finanziaria, per poi riprendere in misura ancor più consistente con l’affacciarsi nella scena energetica mondiale dei paesi poveri.
Dal 2000 la crescita dei consumi mondiali di energia è stata di quasi il 50%
Dal 2000 l’aumento è stato complessivamente di poco inferiore al 50%, pari a 4,5 miliardi di tep, a un totale nel 2018 intorno a 13,8 (nostra stima su dati BP Statistical Review 2018) che salgono a 14,3 considerando anche biomasse non commerciali.
Dal 2000 al 2017 la crescita media annua dei consumi di energia è stata del 2%, valore in linea col 2,2% medio annuo registrato dalla metà dell’Ottocento alla fine del Novecento.
Fonte: Enerdata
Secondo: dal 2000 al 2018 la quota delle fossili nel soddisfacimento dei consumi energetici primari è rimasta assolutamente invariata all’80% (dati AIE che includono le biomasse non commerciali): quale saldo di un calo del petrolio di cinque punti al 31%; di un aumento di tre punti del carbone al 26% e del metano di due punti al 23%.
La quota delle fossili resta invariata all’80%, cala il petrolio ma aumentano carbone e metano
Le biomasse sono rimaste costanti al 10%, mentre il nucleare ha perso due punti al 5%, andati pariteticamente a vantaggio dell’idro, salito al 3%, e delle altre rinnovabili (soprattutto eolico e solare) raddoppiate dall’1% al 2%. Escludendo le biomasse non commerciali la quota delle fossili sale all’85% (come da BP Statistical Review).
La distribuzione delle fonti energetiche nei trascorsi due decenni è rimasta quindi, questa è la conclusione, sostanzialmente inalterata. Che possa rivoluzionarsi nei prossimi due decenni – capovolgendo il rapporto fossili/rinnovabili – appare poco verosimile o almeno non dovrebbe essere dato per altamente probabile.
Terzo: la curva dell’intensità energetica – da cui discende la correlazione energia-reddito – è variata dal 2000 al 2017 del -1,5% medio annuo, anche in questo caso assolutamente in linea con la variazione di lunghissimo periodo del -1,4% medio annuo.
La curva dell’intensità è in linea con l’andamento di lunghissimo periodo (-1,4% m.a.)
Fonte: Enerdata
Quarto: nel 2018 nella generazione elettrica (primo ambito di emissioni di CO2), il carbone la fa ancora da padrone con una quota del 38%: 1 solo punto percentuale in meno del 2000, mentre gli idrocarburi hanno contato per il 26% (esattamente come nel 2000, con un travaso dal petrolio al metano).
1 solo punto percentuale il calo della quota del carbone nella generazione elettrica dal 2000
Complessivamente le energie fossili vi hanno contribuito per il 64%: 1 punto percentuale in meno del 2000. Al rimanente 36% ha concorso per il 16% l’idroelettrica (17% nel 2000), per il 10% il nucleare (17%), 3% biomasse (1%), 7% solare ed eolico (0%), 1% altre rinnovabili (0%).
Tre le conclusioni che possono trarsi.
Prima: negli scorsi due decenni le cose sono cambiate in misura molto contenuta. Le tendenze delle macro-variabili energetiche non hanno osservato particolari variazioni risultando anzi in linea con le dinamiche di lunghissimo periodo. Segno della loro resilienza al mutare delle condizioni esterne (tecnologiche, economiche, istituzionali).
Seconda: per conseguire gli obiettivi assunti a Parigi bisognerebbe modificare in modo drastico il profilo delle curve sopra esaminate, come emerge dalla tabella ove abbiamo posto a confronto le dinamiche 2000-2017 e quelle auspicate al 2040.
(1) Variazioni compatibili con obiettivi Parigi: Rapid Transition Scenario, BP Outlook 2019.
Fonti: Enerdata per consumi e intensità; BP Statistical Review per quota fossili-rinnovabili; BP Outlook per emissioni.
I processi di sostituzione – come insegna la storia ed una vastissima letteratura – hanno sempre richiesto un lungo percorso prima che si affermassero nuovi paradigmi tecnologici. “Prigionieri dei passati investimenti” come ha scritto il grande storico della tecnologia Nathan Rosemberg.
Se non interverranno mutamenti sostanziali delle politiche e delle strategie degli agenti economici – quel che non può escludersi ma che i fatti attuali non testimoniano – gli scenari energetici almeno nella prossima generazione possono dirsi sostanzialmente determinati dalla path dependence energetica: le scelte future dipendono da quelle passate.
Se non interverranno mutamenti sostanziali delle politiche e delle strategie degli agenti economici, la strada resta tracciata dalle scelte passate
Se è innegabile che vi siano tutti i presupporti perché possa affermarsi un nuovo paradigma tecnologico che soppianti quello che ha dominato nell’ultimo secolo, lo è altrettanto il fatto che questo, se non cambierà drasticamente il corso degli accadimenti, non potrà che avvenire in linea con i cicli di sostituzione osservati negli ultimi tre secoli.
Checché se ne dica, la “transizione energetica” non sta marciando ai ritmi necessari. Ai ritmi attuali essa potrà avverarsi in tempi incompatibili con l’urgenza dell’agire invocata dalle Nazioni Unite. Il rischio è che sia nel vero Jean Tirole che definì l’Accordo i Parigi come “un compromesso ben al di sotto delle ambizioni senza alcun passo in avanti rispetto a sei anni fa” con la fallimentare Conferenza di Copenhagen. In sintesi: non un accordo storico ma parole al vento.
L'articolo è di Alberto Clô, Direttore Responsabile della Rivista Energia, ed è stato pubblicato originariamente su www.rivistaenergia.it