Perché le scelte nazionali in materia di trasporti stridono con la realtà

Rivista Energia

Il documento strategico PNIEC fissa obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti e di CO2 nel settore trasporti, ma, come rileva Marco D’Aloisi su Energia 1.19, nell’orientamento adottato qualcosa che stride con la realtà

Come raggiungere gli obiettivi di riduzione e contenimento delle emissioni inquinanti e di CO2 nel settore trasporti fissati nel Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC)? Il documento strategico parla chiaro: ampia diffusione di mezzi elettrici e obblighi di acquisto per le flotte pubbliche, nonché una progressiva riduzione di autoveicoli con motori diesel e benzina, rivedendo gradualmente i sistemi fiscali sul trasporto (tassa immatricolazione, tassa di possesso, imposte sui carburanti, etc.) e studiando ulteriori modalità di finanziamento per favorire i veicoli a basse emissioni. Eppure, secondo Marco D’Aloisi che affronta il tema su Energia 1.19, in questo orientamento c’è qualcosa che stride con la realtà.

 

Per quanto riguarda le emissioni inquinanti, diversi studi (elenco in fondo al testo) hanno infatti dimostrato che le nuove motorizzazioni Euro 6d consentono di rispettare i limiti di emissione imposti in fase di omologazione per gli NOx in tutta la vita utile della vettura e nelle condizioni reali di guida. Quanto al particolato, esso dipenderà sempre di più dalle cosiddette “emissioni non esauste” piuttosto che dalle emissioni allo scarico. Il punto è che per combattere efficacemente l’inquinamento urbano, peraltro localizzato in alcune aree e centri storici, servirebbe un vero ricambio dei veicoli più vetusti. E a contare sarà unicamente la velocità con cui si attuerà tale ricambio, indipendentemente dalle tipologie di auto immatricolate.

 


Quel che conta per combattere efficacemente l’inquinamento urbano, è la velocità del ricambio dei veicoli più vecchi, a prescindere dalla tipologia di auto


 
Al di là del fatto che ognuno sceglierà la soluzione che preferisce e ritiene più adeguata alle proprie esigenze e disponibilità economiche, l’obiettivo di arrivare al 2030 con 6 milioni di vetture ibride plugined elettriche vuol dire che ogni anno, per i prossimi dieci anni, circa il 30% delle nuove auto immatricolate dovranno rientrare in queste tipologie, rispetto all’appena 0,5% registrato lo scorso anno.

 

È poi evidente che per essere realmente competitive rispetto alle auto con motori a combustione interna, le auto elettriche dovrebbero migliorare la densità di potenza, aumentare l’energia specifica, diminuire i tempi di ricarica, allungare la vita utile, ridurre il peso, incrementare la sicurezza e abbattere i costi. Tutti avanzamenti da effettuare contemporaneamente. Al momento non esiste, e probabilmente non esisterà nel breve-medio termine, un dispositivo che soddisfi tutte queste caratteristiche insieme.

 


Per raggiungere gli obiettivi previsti dal PNIEC, l’immatricolazione di elettriche e ibride plugindeve passare dall’attuale 0,5% al 30% annuo per i prossimi 10 anni


 

Penalizzare i motori a combustione interna a favore della mobilità elettrica significherebbe inoltre aprire le porte dell’Europa alla totale dipendenza dal monopolio cinese su questa filiera industriale, non potendo in nessun modo competere sul piano del costo del lavoro e della disponibilità di materie prime. Circa l’80% delle auto elettriche finirebbe per essere prodotto in Asia, mentre l’Europa perderebbe la propria industria automobilistica, oggi all’avanguardia mondiale sotto il profilo tecnologico, e con essa centinaia di migliaia di posti di lavoro.

 

Il PNIEC tratta inoltre di biocarburanti e anche su questo punto alza l’asticella. Prevede infatti obiettivi superiori a quelli già imposti con la Direttiva RED II, definiti a suo tempo sulla base di uno specifico studio di “Impact Assessment” che però manca nel PNIEC.

 

 
Secondo il PNIEC, il biometano dovrebbe passare dai 20 milioni di m3 di oggi agli 1,1 miliardi del 2030. Tale obiettivo dipende però dalla partenza dei necessari investimenti, oggi ostacolati da complessi iter autorizzativi e amministrativi che potrebbero creare non pochi problemi.

 

Analogo discorso vale per i biofuel convenzionali, per i quali sarà necessario verificare quali materie prime potranno continuare ad essere utilizzate, ma anche per i double counting che dovrebbero passare dalle 80.000 tonnellate di oggi alle 550.000 previste per il 2030.

 

“È indubbio” conclude D’Aloisi “che oggi ci troviamo davanti a sfide enormi [e che] ogni comparto produttivo dovrà fare la sua parte […] Ma [come ha recentemente affermato Fatih Birol, Direttore esecutivo della IEA] cercare di raggiungerli plasmando «scenari energetici semplicisticamente modificando l’aritmetica delle fonti è in conclusione privo di senso»”.

 

Riferimenti bibliografici

Ricardo UK, Expected light duty vehicle emissions from final stage of euro6, 2017
Aeris Europe, Urban air quality study, 2017
Acea , Modern diesel technology. Latest type-approval results for the growing fleet of RDE-compliant cars, 2018
Beatrice C., Istituto Motori CNR, Propulsione sostenibile. Analisi critica di tendenze e alternative possibili per l’autotrazione – opportunità, ostacoli e prospettive delle varie soluzioni, 2017. 

 

Il post riprende i contenuti dell’articolo Il downstream petrolifero oltre il 2030 scritto da Marco D’Aloisi e pubblicato sul numero 1.19 di Energia (pp. 22-28).

Il post è stato pubblicato originariamente su www.rivistaenergia.it.

Marco D’Aloisi è Responsabile Relazioni Esterne di Unione Petrolifera