La presentazione del nuovo numero della Rivista Energia

Rivista Energia

Il Direttore Alberto Clò presenta i temi trattati in Energia 2.19 e traccia il filo sottile che li lega: l'urgenza di agire e i lunghi tempi della politica

Il Direttore della Rivista Energia Alberto Clô presenta gli articoli di Energia 2.19 tracciando il filo che li lega

  

Urgenza di agire e lunghi tempi della politica

 
La credibilità della politica nel garantire il rispetto degli impegni assunti è una delle prerogative per conseguire gli obiettivi fissati nel PNIEC. In direzione contraria muove invece lo scippo di 650 milioni alla Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali per finanziare l’acquisto di quote Alitalia, che, a dire dell’ARERA, potrebbe tramutarsi in «un aumento improprio dei prezzi dell’energia per le famiglie e le imprese». Così facendo, temo non si vada da nessuna parte. G.B. Zorzoli ne è consapevole sin dalle prime parole del suo articolo: «alla lunga le furbizie spesso non pagano e questo assunto vale in particolare nel settore elettrico, dove a dominare sono proprio i tempi lunghi», concludendo con l’auspicio che per orientare gli investimenti nella direzione desiderata il Governo ricorra alla moral suasion verso gli agenti economici. Auspicio condivisibile ma insufficiente. Nei cinque mesi dalla pubblicazione del PNIEC, nessuna decisione è stata adottata: capacity market, decreti sulle rinnovabili, bonus energia, etc. Non ultimo: il superamento della maggior tutela, la cui proroga al luglio 2020 sarà, a mio avviso, prorogata senza limiti. L’articolo di Giovanni Goldoni esamina la relazione tra concorrenza e partecipazione – tra clienti attivi e inattivi; loro libertà di scelta e posizioni dominanti; regolazioni adottate – in alcune esperienze estere (Regno Unito, Stati Uniti, Francia) per trarne utili indicazioni per il caso italiano, ove il 60% dei clienti resta sotto il regime di tutela, forse consapevole che il passaggio al mercato gli consentirebbe un «risparmio irrisorio» (con un -10% nei prezzi incasserebbero 25 euro/anno). Sempre in tema di regolazione, Hannelore Rocchio propone modifiche all’attuale regolazione dei corrispettivi del servizio di trasporto del gas naturale – che favoriscono le centrali a carbone e idroelettriche e le importazioni – in grado di eliminare tali rendite a beneficio dei consumatori e dell’ambiente.   

  

Le cose non vanno

 
Le cose dopo Parigi non stanno andando bene. Non v’è indicatore – consumi energia, peso delle fossili, efficienza energetica, emissioni, investimenti – che non segni un peggioramento mentre le politiche sono in affanno. Si prendano ad esempio le emissioni nei paesi europei. L’Europa, mentre riduceva a caro prezzo la sua produzione interna di carbonio, esportava le emissioni in misura ancor più consistente spostando attività in paesi con limiti meno rigorosi – il cosiddetto carbon leakage – per poi reimportarle incorporate nei beni importati e consumati. Se conteggiate al livello dei consumi, il segno della variazione sarebbe positivo. Spostare la rilevazione delle emissioni dalla produzione al consumo valorizzando la CO2 sull’IVA è la proposta avanzata nell’articolo di Gerbeti e Catino, utilizzando la tecnologia blockchain come strumento per la tracciabilità delle emissioni industriali. Un aiuto al mondo dell’energia che viene dal processo di digitalizzazione, di cui Jean-Michel Glachant e Nicolò Rossetto della Florence School of Regulation offrono un’interessante panoramica.

  

Ancora su pubblico/privato

 
Il «ritorno dell’impresa pubblica» va consolidandosi in diversi paesi europei anche nel settore dell’energia. Su Energia 1.19 Stefano Clô sosteneva che risultati positivi si sono avuti là dove questo neo-interventismo è stato guidato da soggetti capaci, responsabili e trasparenti e dove si sono realizzate concrete riforme di mercato, apertura alla concorrenza, creazione di Autorità indipendenti, riforme di corporate governance e apertura del pubblico al capitale privato. Massimo Mucchetti condivide questo approccio riformista e ripercorre le vicende di due liberalizzazioni/privatizzazioni – telecomunicazioni (negativa) ed energia (positiva) – pervenendo alla conclusione che «l’utilità della presenza della mano pubblica nell’azionariato delle grandi imprese dei due settori non può essere esclusa a priori (…) se e quando l’azionista, il regolatore e il dominus della politica industriale trovano coerenze adeguate e convergenti di fronte allo sviluppo tecnologico e agli obiettivi di lungo termine individuati dal governo nazionale». Diverso l’approccio di Carlo Scarpa che, pur consapevole del fatto che «il processo di privatizzazione non è stato solo di luci né solo di ombre» e che sia utile dibattere di pubblico/privato, appare più preoccupato dei rischi di «fare passi indietro» come nel caso del disegno di legge Daga nel settore idrico che, se approvato, annullerebbe ogni parvenza di mercato e di privato in un settore che avrebbe bisogno di immani investimenti, che la mano pubblica non sarebbe in grado di realizzare, a tutto danno del benessere sociale. 

  

Petrolio: vivere con l’incertezza

 
Vivere con l’incertezza era il titolo del bel volume di Hans Lansberg. Quel che valeva nel 1983 ed ancora nel 2019. Il Brent lo scorso mese ha oscillato tra i 72 e 70 dollari per scendere verso i 60 dopo il 3 giugno. Un calo sorprendente se si tiene conto dell’acuirsi delle tensioni politiche. V’è da chiedersi come sia possibile controbilanciare queste pressioni rialziste al punto da far flettere i prezzi. Bassan Fattouh e Andreas Economou (Oxford Institute for Energy Studies) suggeriscono di focalizzare l’attenzione sulla crescita della domanda e i suoi principali contributori (crescita economica e prezzi), per poi tracciare possibili scenari di riequilibrio. Dell’impossibilità a far conto solo sui fondamentali di mercato trattano invece Ed Morse e Francesco Martoccia di Citigroup. Altre variabili influenzano i prezzi: nuove tecnologie, rischi geopolitici, automazione dei processi di scambio, la velocità con cui si scambiano le informazioni, gli imprevedibili tweet del Presidente Trump. Oltre il petrolio, l’incertezza della geopolitiche pervade anche la transizione energetica. La dipendenza da nuovi materiali critici e/o tecnologie è analizzata dai ricercatori IFP Energies Nouvelles e Institut de Relations Internationales et Stratégiques. La sicurezza energetica cambia natura ma resta in sostanza fattore di criticità geopolitica: se da un lato migliora (es. minor dipendenza da paesi produttori petrolio), dall’altro peggiora (es. maggior dipendenza da paesi leader nelle nuove tecnologie o materie prime). Incerto anche il futuro delle utility italiane, soprattutto se decideranno di accettare la sfida della globalizzazione, come analizzato da Tobia Desalvo. Siano le trasformazioni in atto tecnologiche, geopolitiche o di governance, una necessità trasversale all’industria dell’energia resta quella di migliorarne la comprensione e di conseguenza il processo decisionale. Come emerso dal workshop organizzato dal Center on Global Energy Policy, ciò può essere ottenuto promuovendo la diversità e l’inclusione per assicurarsi il reclutamento dei migliori talenti disponibili in vista dell’invecchiamento della forza lavoro.

  

                                                                                     a.c.

   

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