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Energia: vecchie e nuove dipendenze

Rivista Energia

E' romantica ma non veritiera l'idea che con le nuove rinnovabili e con la mobilità elettrica si possa mettere fine alle voci "dipendenza" e "sicurezza" energetica 

Ho scritto qualche giorno fa come il futuro delle (nuove) fonti rinnovabili (solare ed eolico) rischi di divenire sempre più un miraggio alla luce del deludente andamento degli investimenti. Attestato da un rapporto dell’Agenzia di Parigi relativo alla loro recente dinamica e confermato dal loro tonfo nel primo semestre di quest’anno. Segnatamente in Cina e nei maggiori paesi europei.

 

La stessa contraddizione – tra previsioni e realtà – temo possa avverarsi anche per l’auto elettrica, dove le cose cominciano ad andare meno bene di quanto si continui a sostenere. Il futuro della mobilità elettrica si costruisce oggi, con gli investimenti nella sua intera supply chain, con la realizzazione coordinata delle infrastrutture, con l’avanzamento tecnologico nella produzione di batterie e con le molte altre condizioni che si richiedono come necessarie al futuro che si continua a propagandare.

 

Discettare sul fatto che al 2040 o 2050 possano esserci 150 o addirittura 500 milioni di auto elettriche è poco significativo se questo futuro non trova sostegno nelle dinamiche d’oggi, mentre la demonizzazione delle auto a combustione interna e l’incertezza che ne deriva sta colpendo duramente l’intera industria automotive europea.

 

I segnali negativi sull’auto elettrica, come in quello delle rinnovabili, vengono dalla Cina, da tutti additata come il ‘futuro che sarà’ anche nel mondo occidentale quasi che l’assetto istituzionale, economico, industriale cinese possa paragonarsi a quello occidentale. Ebbene, la crescita delle vendite di auto elettriche in Cina dalle tre cifre percentuali (+300%) del biennio 2014-2015 è andata progressivamente riducendosi a nemmeno il +60% nel 2017 sino al magro +1,8% registrato nei mesi scorsi.

 


La vendita di auto elettriche in Cina è passata dal +300% del biennio 2014-2015 al +60% nel 2017 sino al magro +1,8% dei mesi scorsi, quali le ragioni?


  

Il motivo è duplice. Il primo è il crollo delle vendite nell’intero comparto automobilistico cinese (-12%), causato dal rallentamento dell’economia e dalla guerra commerciale con gli Stati Uniti. Il secondo è il netto taglio degli incentivi esattamente come accaduto per le nuove rinnovabili (solare ed eolico) nonostante il gran vociare sul loro raggiunto grid parity. Se non l’ha raggiunto in Cina immaginiamo da noi.

  

Nel caso dell’auto elettrica gli incentivi (alle classi più agiate) sono stati abbattuti del 70%, circa la metà del costo dell’auto elettrico (se di marca cinese), con l’impegno del governo di azzerarli entro il prossimo anno. Da qui il quasi azzeramento della crescita. Il forte invenduto di auto elettriche sarà esportato a prezzi stracciati nel mercato europeo così rafforzando il dominio delle case di Pechino. Il futuro dell’industria automobilistica europea dipenderà sempre più dalle decisioni e dinamiche interne della Cina.

  


Il forte invenduto di auto elettriche sarà esportato a prezzi stracciati nel mercato europeo così rafforzando il dominio delle case di Pechino


  

È questo un ulteriore segno della nuova dipendenza tecnologica, industriale, commerciale da Pechino che si profila nelle nuove rinnovabili/mobilità elettrica. Dipendenza a cui corrisponderà, altra faccia della medaglia, un accresciuto potere politico internazionale della Cina. Diversamente da quel che si reputa seguendo le parole di Winston Churchill “safety and certainty in oil lie in variety and variety alone”, nelle condizioni d’oggi la diversificazione energetica non porta automaticamente una maggior sicurezza.

 

È un’idea romantica e non veritiera che questo valga per le nuove rinnovabili o in modo correlato per la mobilità elettrica. La transizione energetica, sostiene IRENA, la lobby internazionale delle rinnovabili, “will strengthen the energy security and energy independence of most countries”. Temo non sarà affatto così. Per più ragioni, ma una su tutte: che queste tecnologie non possono affatto dirsi locali, come pure si sostiene, perché la loro supply chainè ampiamente estera (segnatamente cinese) riflettendosi sulla sicurezza delle forniture di materiali e componenti essenziali alla loro fabbricazione, manutenzione, etc.

 

Se, puta caso, la Cina si rifiutasse di esportare materiali strategici necessari a costruire le celle solari, le batterie o le turbine eoliche, o subordinasse la loro fornitura a particolari condizioni, i contraccolpi in termini di quel che si indicava come ‘sicurezza energetica’ non sarebbero insignificanti. Non una gran differenza rispetto a quel che si teme nelle forniture di gas metano, in un mercato comunque oligopolistico e non quasi-monopolistico come quello che si prefigura per rinnovabili/mobilità elettrica.

 

La realtà semmai è un’altra. Come sostiene uno studio IFP Energies Nouvelles e Institut de Relations Internationales et Stratégiques riproposto in versione ridotta su Energia 2.19, la transizione energetica comporta una crescente dipendenza da risorse minerarie che a ben vedere solleva più problemi geopolitici di quanti non ne risolva.

   
Il fatto che i governi europei o Bruxelles non se ne curino con l’intensità necessaria, se non auspicando un’azione diplomatica sul piano internazionale “to ensure sustainable and fair access to raw materials for batteries in third countries and promote socially responsible mining”, non significa che la questione non si profili come altamente critica. Col rischio che la Cina assuma una posizione dominante nel controllo di questi materiali strategici. Rischio condiviso dall’amministrazione americana che, attraverso la Defence Logistic Agency ha innalzato il livello di attenzione verso litio, cobalto, terre rare, etc.

 


Diversamente dalla Commissione europea, l’amministrazione statunitense sembra più consapevole dei rischi di questa nuova dipendenza dai materiali


  

La conclusione è che nuove rinnovabili e auto elettrica non pongono affatto rimedio, come sostengono gli interessi costituiti, alla questione della dipendenza che caratterizza il ricorso agli idrocarburi, specie al metano. I tema della sicurezza energetica, che è poi sicurezza nazionale, è molto più complesso delle semplificazioni sulla ‘transizione energetica’ al dopo-fossile. Tema che non si affronta scambiando semplicemente una dipendenza con l’altra. 

 

 Dal sito dal sito www.rivistaenergia.it 

 

Alberto Clô è Direttore Responsabile di Energia