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I conti della crisi saudita non tornano

Rivista Energia

Sono veri i dati forniti dai sauditi sull’entità del taglio della produzione? E allora perché i prezzi del petrolio non aumentano? Il commento di Alberto Clô

dal sito rivistaenergia.it

     

I conti non tornano. Perché delle due l’una. O son veri i dati forniti da fonti ufficiali saudite sull’entità del taglio della produzione – superiore a quello di ogni altra passata crisi – e quindi l’aumento dei prezzi di pochi punti percentuali è difficilmente comprensibile: per il Brent +5,6% tra i 60,2 doll/bbl di venerdì 13 settembre e i 63,6 di mercoledì 18 settembre.

 

O non sono veri e allora è comprensibile questo basso aumento e l’indifferenza dei governi nazionali, dei grandi media, dell’Agenzia di Parigi (che non è andata oltre un comunicato in cui affermava che la situazione era sotto controllo e non presentava particolari ragione di preoccupazione). Quasi che il dimezzamento della produzione del primo paese produttore/esportatore potesse ritenersi cosa normale.

 


Perché un così contenuto aumento dei prezzi del greggio?


  
Lo sviluppo delle crisi poggia molto, se non tutto, sulla percezione che ne danno gli opinionisti, i mass media, organismi internazionali, eccetera. Nel 1978-1979 non mancò un solo barile di petrolio, ma la reazione generale fu talmente isterica da generare sui mercati un panico che spinse le raffinerie, i trader, le imprese a comprare a qualsiasi prezzo. Il prezzo del greggio in viaggio su una petroliera poteva aumentare di due-tre volte prima di arrivare a destinazione.

 

Che questo non sia accaduto in occasione dell’attuale crisi è cosa certamente molto positiva e rassicurante. Altro è se questa inerzia poggia su elementi di fatto o solo su una vaga speranza che non sia accaduto nulla. Le informazioni sono carenti e parziali al di là del rimpallo delle responsabilità tra l’amministrazione americana e quella iraniana.

 


Le informazioni sono carenti e parziali, e non è detto siano vere


 
Molto dipenderà (sempre che i dati siano veri) dai tempi del ritorno alla normalità e qui le informazioni sono non meno scarse e contradditorie. La domenica sera del 15 settembre, 40 ore dopo l’attacco, le agenzie battevano un annuncio della compagnia di stato Aramco che dichiarava la possibilità di ripristinare un terzo della produzione interrotta (quindi 1,7 mil. bbl/g) entro un giorno. Così non è stato.

 

Martedì 17 settembre fonti saudite annunciavano il ripristino ‘entro fine mese’; l’agenzia Reuters parlava di ‘due-tre settimane’, mentre il Sole24Ore sosteneva che la metà della produzione era già stata ripristinata e, soprattutto, che a dire del neo Ministro dell’Energia, il Principe Abdulazuz bin Salman, sarebbe stata non solo riportata a fine mese ai 9,6 mil. bbl/g precedenti l’attacco, ma addirittura aumentata a 11 mil. bbl/g, così accentuando il surplus d’offerta a discapito dei prezzi.

 


Secondo il Ministro dell’Energia saudita la produzione dovrebbe in breve raggiungere livelli addirittura superiori quelli precedenti l’attacco


 
I tempi del ripristino sono comunque molto incerti anche perché incerti sono gli effettivi impianti messi fuori uso (raffinerie, pipeline, giacimenti). Non può poi escludersi il dubbio che le contradditorie voci dei sauditi siano volti a rassicurare mercati e investitori anche in vista della quotazione di Aramco che Abdulazuz bin Salman intende accelerare indipendentemente da quanto avvenuto.

 

Dall’esterno le cose sono viste abbastanza diversamente. La totalità degli esperti di cose militari concorda sul fatto che l’Arabia Saudita sia incapace di fronteggiare con i suoi costosi sistemi difensivi attacchi dei poco costosi droni e missili cruise – rispettivamente 18 e 7 la mattina del 14 settembre – che volano troppo bassi per essere intercettati in tempo dai radar e dagli scudi missilistici Patriot a terra (adatti a intercettare jet o missili balistici ad elevata altezza).

 

Sistemi dislocati per giunta in direzione opposta a quella da cui sembrano essere partiti gli attacchi, che sia i sauditi che gli americani reputano “unquestionably sponsored by Iran”, come “act of war”.

 


Ma la partita geopolitica non è conclusa, anzi..


 
Possiamo realisticamente ritenere che l’escalation militare da mesi osservata nel Golfo Persico sia terminata? I potenziali obiettivi nel territorio saudita – ma anche in tutti gli altri territori della geografia del petrolio – sono d’altra parte troppi e troppo ampiamente dislocati per poter essere adeguatamente difesi.

 

E qui passiamo all’interrogativo da cui non si può prescindere: possiamo realisticamente ritenere che l’escalation militare da mesi osservata nel Golfo Persico sia terminata, al di là del ripristino o meno della produzione saudita? Che gli attacchi del 14 settembre siano un episodio circoscritto e non replicabile e che l’ulteriore lacerazione dei rapporti tra Iran e Stati Uniti e tra Iran e Arabia Saudita non costituisca una minaccia incombente sull’intero sistema petrolifero mondiale?

 

Che i mercati, per tornare ai prezzi, vi abbiano integrato tutto questo come risk premium, ovvero, come ha scritto Citibank, essi non abbiano “persistently mispricing” tale rischio?      

 

L'articolo è di Alberto Clô, Direttore Responsabile della Rivista Energia, ed è stato pubblicato originariamente su www.rivistaenergia.it