Faremo in tempo? Cambiamenti climatici, transizione energetica, rischi finanziari
Alberto Clô presenta il numero di autunno della rivista Energia
La politica che non c’è
Tutti presi dal dibattere di questioni marginali in una visione sistemica dell’energia, non ci si è resi conto che anche in tale campo la politica è progressivamente evaporata. Scrive Giuseppe De Rita: «Se dall’esterno guardo al mondo dell’energia mi colpisce il suo essere un “ecosistema a più soggetti”: (…) non c’è più un Governo che si senta investito dei destini energetici del Paese», con l’impressione che «tutto si svolga in una tacita grande confusione». La cosa è sconcertante in sé ma ancor più, ricordando un aforisma cinese, per il tacere di quelli che sanno e il parlare di quelli che non sanno. Quel che potrebbe riferirsi anche a un soggetto centrale nella governance energetica del Paese: l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. Sul cui operato chi scrive formula su questo numero interrogativi sull’effettivo stato dell’arte della concorrenza nel mercato elettrico; sulle sconfortanti dinamiche dei prezzi specie in quello retail; sui possibili esiti di una non ponderata eliminazione del regime di maggior tutela che, solo sotto specifiche condizioni, potrebbe portare a un miglioramento del benessere dei consumatori. Se così non fosse, potrebbero aggravarsi le condizioni di povertà energetica che già assillano 2,2 milioni di famiglie, come analizzato nell’articolo di Sarah Supino e Benedetta Voltaggio. Punto centrale della loro analisi è la soluzione strutturale che si propone per questa nuova emergenza sociale: «(…) L’acquisizione della consapevolezza da parte delle Autorità pubbliche che l’energia sia un bene fondamentale, irrinunciabile per l’uomo [e la] configurabilità di un vero e proprio diritto all’accesso ad essa, tutelabile alla stessa stregua degli altri diritti fondamentali, dai quali può scaturire una pretesa da parte dei cittadini nei confronti dello Stato». Altra pretesa legittima è quella della certezza del diritto, che – come analizzano Lorenzo Parola, Teresa Arnoni, Vanessa Nobile e Fabio Angelini – è venuta meno sia in Spagna che in Italia con la revisione dei generosi incentivi al fotovoltaico. Lo «Spalmaincentivi», sottolineano gli Autori, rappresenta «una brutta pagina per la giustizia amministrativa, che (…) ha messo in crisi i meccanismi di accesso alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea».
Quale futuro per le utility elettriche?
A leggerne i risultati economici, le maggiori utility italiane godono di ottima salute. Grazie ai buoni rendimenti e bassi rischi nei settori regolati; ai non estinti incentivi nelle rinnovabili; ad avvedute strategie di aggregazione; a una contenuta concorrenza nel mercato elettrico retail. Se questo è il presente, altro è il futuro, molto più incerto. Le grandi innovazioni che si profilano nell’erogazione di nuovi servizi – come con la crescente applicazione delle tecnologie ICT analizzata da Laura Cozzi e Vincenzo Franza – richiedono grandi risorse finanziarie e un’elevata propensione al rischio, mentre sempre più concreta si fa la minaccia di entrata dei Big Tech e delle Big Energy. Si spiega così un quinquennio in cui la dinamica degli investimenti, pur tra oscillazioni, è calante rispetto al precedente decennio. E senza investimenti di decarbonizzazione se ne fa poca. Il short termism riaffiora essendo congenito a imprese private in regimi di mercato. G.B. Zorzoli, attento osservatore delle loro strategie, scrive infatti che: «alla lunga le utility elettriche potrebbero pertanto contare con certezza solo sul business delle reti, che già ora sta diventando la loro principale risorsa in termini di ritorni economici». Come antidoto al deficit di investimenti propone il ritorno all’intervento pubblico, attraverso Cassa Depositi e Prestiti. Un’opzione non scevra dai rischi di intrusione della politica e un regredire rispetto all’apertura al mercato che venti anni or sono si avviò con le liberalizzazioni.
Chi e cosa governa i prezzi del petrolio
A essere onesti, sui prezzi del petrolio non ci si raccapezza più. I fondamentali sembrano contare sempre meno per non dire delle tensioni geopolitiche. Una spiegazione molto originale la dà Francesco Gattei che evidenzia l’importanza crescente che hanno assunto gli algoritmi che, sfruttando memorie infinite di dati, rispondono con immediatezza a ogni segnale innescando migliaia di transazioni finanziarie sui mercati del petrolio. In un mondo così istantaneo, si attenua il tradizionale ruolo dei fondamentali più strutturali – che comunque nel lungo termine non potranno che riaffiorare – mentre aumenta sproporzionatamente quello degli arbitraggi temporanei. Una premessa non certo positiva, conclude Gattei, per la costruzione di mercati lungimiranti e di sistemi economici più sostenibili. Sta di fatto che nel primo semestre dell’anno il calo dei prezzi del petrolio e ancor più del metano ha pesato duramente sui conti delle majors petrolifere. La loro risposta ha puntato al rispetto di una ancor più severa disciplina finanziaria e ad adeguare il modello di business tradizionale alle nuove tecnologie legate all’energia pulita. Tecnologie che, come illustrato da Stefano Cao, nel caso di Saipem rappresenteranno oltre la metà del portfolio dei progetti al fine di ridurre le proprie emissioni di CO2 e per allargare l’offerta ai propri clienti in qualità di Global Solution Provider.
Dinamiche climatiche e transizione energetica
All’intensificarsi degli studi che denunciano le possibili conseguenze dei cambiamenti climatici si è contrapposto un peggioramento di ogni indicatore da cui originano (consumi energia, ruolo fossili, aumento emissioni, pochezza delle rinnovabili). Visto che le cose sono del tutto fuori linea rispetto agli obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi, la politica opta furbescamente per la «fuga in avanti». Ma non sono gli annunci a far la politica e tantomeno a salvare il Pianeta. Da qui, Enzo di Giulio e Stefania Migliavacca in un importante saggio partono da una domanda chiave sulla transizione energetica: «sarà essa abbastanza veloce da evitare gli scenari catastrofici prospettati dalla comunità scientifica?». Per darne risposta gli Autori hanno confrontato gli scenari più rappresentativi nella recente letteratura, assumendo come indicatore dei processi di decarbonizzazione l’anno in cui le emissioni di carbonio raggiungono il loro massimo (carbon peak). La conclusione è che «l’ipotesi che nel giro di un paio di decadi il genere umano inverta il senso di marcia e, a grande velocità, decarbonizzi il proprio sistema industriale – di più, la società intera – è più che irrealistica: è utopia». Altro e sempre più determinante aspetto della questione climatica è quello degli effetti che le politiche di risposta potrebbero causare sulla stabilità del sistema finanziario internazionale per il possibile collasso del valore degli asset di molte industrie. Nel suo articolo Ivan Faiella esamina le diverse tipologie dei Climate-Related Financial Risk e i meccanismi attraverso cui possono propagarsi verso il sistema finanziario. Se da un lato, scrive, è chiaro che il mondo finanziario può svolgere un ruolo importante nel processo di decarbonizzazione, allo stesso tempo è necessaria una strategia coerente con tutte le altre politiche – energetica, ambientale, fiscale, industriale – che dovrebbero essere guidate da obiettivi di chiari, certi e di lungo respiro. In conclusione, «solo così gli investitori conosceranno con chiarezza la direzione intrapresa e che la sfida dei cambiamenti climatici è in cima all’agenda dei governi nazionali e delle istituzioni europee. Le banche centrali sono pronte a fare la loro parte».
Il post è un estratto della Presentazione di Alberto Clô di Energia 3.19.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia.
Puoi leggere la presentazione integrale scaricando qui il pdf.
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