Investimenti pubblici e privati: chi li blocca? Consigli per rimediare
Le responsabilità sono sia sul lato pubblico sia su quello privato. Servono interventi mirati, non grandi riforme
Professor Sabino Cassese, gli investimenti pubblici e privati sono bloccati: chi li blocca?
Deve avere la pazienza di seguirmi. I casi sono molti e bisogna elencare esempi significativi, per capire. L’Istat dice che gli investimenti pubblici sono diminuiti del 5 per cento nell’ultimo anno, anche se gli stanziamenti sono aumentati. Il progetto di un lotto della statale Jonica è tornato al Cipe cinque volte in dieci anni. La gara per un lotto di un raccordo autostradale è stata indetta nel 2007 e aggiudicata nel 2016. I lavori per una tratta dell’alta velocità hanno richiesto più di quattro anni solo per l’assegnazione delle risorse e l’approvazione formale del progetto.
A Roma non si trovano i commissari per aggiudicare i lavori di manutenzione stradale. La combinazione di procedura negoziata e aggiudicazione al prezzo più basso, vietata nel 2017, è stata permessa successivamente dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e dall’Anac. Gli operai che lavorano alla Tap, in Puglia, vanno in cantiere in autocolonna, con l’accompagnamento della polizia.
Questi sono tutti esempi relativi a investimenti pubblici. E quelli privati?
I lavori di recupero edilizio, sisma bonus e acquisto arredi debbono tutti essere comunicati per via informatica all’Enea, che dovrebbe monitorare la riqualificazione energetica degli edifici. Se la Banca centrale europea prevede che i crediti in “sofferenza” debbano essere recuperati dalle banche entro sette anni, altrimenti vanno svalutati nei bilanci, e le aste immobiliari durano di più di sette anni, a chi va imputata la responsabilità della svalutazione?
Allora, chi è la causa di questi intoppi?
La prima responsabilità è del legislatore. Questo non dovrebbe richiedere altri adempimenti ai cittadini: per esempio, le comunicazioni all’Enea sono proprio necessarie? Se lo sono, non possono essere fatte dalle stesse amministrazioni (come prevede una legge esistente, secondo la quale non vanno richieste informazioni di cui le amministrazioni già dispongono: basta che gli uffici pubblici comunichino tra di loro)? Se si adotta un nuovo codice dei contratti, perché non affidare a una amministrazione - guida il compito di illustrarlo, evitando correzioni continue, chiarendo i dubbi, se possibile istruendo in anticipo gli uffici pubblici e i privati che debbono applicarlo?
Ma non tutte le responsabilità sono del Parlamento.
Certo, ve ne sono altre dell’apparato esecutivo, che si preoccupa più del rispetto formale della procedura che dei risultati. E quella preoccupazione è dettata sia dalla formazione giuridica prevalente, sia – in misura maggiore – dalla paura di controllori interni ed esterni, che possono rovinare la vita anche del più specchiato funzionario, che dovrà sottostare ad anni di indagini, se qualche controllore lo prende di mira.
Tutte responsabilità sul lato pubblico?
Ve ne sono anche sull’altro lato: ad esempio, la facilità con la quale si impugnano decisioni amministrative, che producono rallentamenti o blocco; oppure la testarda opposizione di comunità locali, come quella relativa alla Tap. L’intervento dei giudici è richiesto dagli oppositori delle decisioni pubbliche: ne hanno diritto, ma anche i diritti vanno esercitati con giudizio, evitando il “filibustering” (l’ostruzionismo) amministrativo. Nel corpo della magistratura, però, vi sono anche le procure, che si muovono sotto spinte diverse, e che spesso mettono in dubbio decisioni amministrative. Tutto questo produce conseguenze gravi.
Che sono?
L’“International Civil Service Effectiveness Index”, calcolato da un istituto della Università di Oxford, colloca l’Italia al ventisettesimo posto sui trentuno paesi esaminati. L’Italia – hanno osservato Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli – è un caso anomalo tra i paesi sviluppati perché da circa un quarto di secolo è il paese che registra i tassi di crescita più bassi.
Lei come consiglierebbe di rimediare?
Mettendo a fuoco i casi dove i processi di decisione sono più lenti, analizzandoli attentamente, per individuare le cause specifiche, e intervenendo, ove possibile non per via legislativa. Nessuna grande riforma, ma interventi mirati, da realizzare subito, mobilitando quei buoni amministratori che abbondano nello stato italiano, ma sono poco ascoltati, talora emarginati, e comunque frustrati dall’andazzo corrente.