Il populismo dichiarato

Perché siamo precipitati così in basso? Spunti per provare a non disperare né rassegnarsi

Professor Sabino Cassese, siamo a fine anno 2018, facciamo un bilancio. Dobbiamo preoccuparci? Perché siamo precipitati così in basso?

La situazione è difficile e inedita. Il Parlamento divenuto organo di ratifica (sei voti di fiducia in quattro mesi, a cui si aggiungono gli ultimi sulla legge di bilancio, che il Parlamento non ha potuto neppure leggere). Il governo che sbanda continuamente. Continue dichiarazioni di apertura (Davide Casaleggio al Corriere della Sera del 16 dicembre 2018: “Il Movimento è nato proprio con il proposito di aprire le istituzioni a tutti coloro che vogliono impegnarsi per un certo periodo per la comunità. Il nostro uno vale uno ovviamente include tuti. Tutti siamo società civile”), ma nessuna consultazione (la legge di bilancio, nella versione approvata dalla Camera, è il festival delle norme corporative, ma nessuno ne ha discusso, fuori delle segrete camere del governo e delle corporazioni interessate). Un’opposizione allo sbando, che lamenta l’espropriazione della sovranità nazionale, che non c’è stata, perché le scelte di bilancio, quelle allocative, non possono essere attribuite alla Commissione europea, che è solo interessata al rispetto delle norme su disavanzo e debito. Su tutto, un’assenza di “gravitas”, scarsa consuetudine con la gestione di decisioni collettive, incapacità di capire che la politica è necessariamente incrementale, approssimazione, incoerenza.

 

Com’è potuto accadere tutto questo?

Le ricordo che “nessuna civiltà viene distrutta da fuori senza essersi prima rovinata da sola, nessun impero viene conquistato dall’esterno, senza che precedentemente fosse già suicida. E una società, una civiltà si distruggono con le proprie mani quando hanno smesso di comprendere la loro ragion d’essere, solo quando il pensiero dominante attorno al quale erano prima organizzati è come diventato straniero a loro stesse” (René Grousset, Bilancio della storia, Jaca Book, Milano, 1980). Bisogna quindi andare alla ricerca dei fattori di continuità, di lenta disgregazione: quando è cominciata la “rottamazione”, la critica dei vitalizi e delle auto blu, l’enfasi sulla riduzione delle imposte e sui diritti, invece che sulla solidarietà, sui doveri e sulla responsabilità?

     

Ma in mezzo ci sono anche due eventi importanti, la crisi decennale (ma ne siamo usciti?) e l’aumento dell’immigrazione

Che hanno fatto da acceleratore a una sfiducia non nello Stato, ma nella sua classe politica. Ma questa sfiducia viene da lontano. Con il suffragio universale, la rappresentanza politica da bipolare (rappresentato-rappresentante) diventa tripolare (rappresentato-partito-rappresentante). Ma i partiti, tramite e quindi strumento della democrazia, sono diventati essi stessi non democratici. Basti ricordare che hanno rifiutato una legge che dettasse i principi della loro organizzazione interna, che doveva essere ispirata a criteri democratici. Le primarie hanno colto il problema, ma non sono state la soluzione, perché hanno finito per aumentare il carattere plebiscitario e leaderistico dell’organizzazione partitica. Il rimedio ha peggiorato il male per la cui cura era stato adottato. Questa insufficienza democratica dei partiti ha prodotto la ribellione e l’estinzione di fatto dei partiti che hanno dominato la scena per un quarto di secolo. Ora ci sono i non-partiti, i movimenti, i leader.

 

Ma c’è anche il popolo, chiamato in prima persona

Si, evocato ogni giorno da seguaci di un populismo dichiarato, ma non praticato, da venditori di illusioni collettive, che stanno tradendo tutte le promesse fatte, e così dimostrano che erano artifici retorici, specchietti per le allodole

 

Bisogna quindi disperare o rassegnarsi?

No, anzi bisogna Battere la “disperanza”( è il titolo di un articolo di Marco Rossi – Doria, pubblicato su “Il Mulino”, 2018, n. 4, p. 620). Il sistema ha ancora anticorpi, anche se istituti e procedure della democrazia sembrano tutti messi in dubbio dall’occupazione del potere. E anche se – come fu subito rilevato quando nella democrazia italiana si affermò l’alternanza, nel 1994 – i contro-poteri in Italia sono pochi. C’è il Presidente della Repubblica e ci sarebbe la Corte costituzionale. Ma quest’ultima, accentuando la propria “giudizializzazione” e soddisfacendo l’ambizione dei giudici a diventare tutti presidenti, si è costretta ad agire solo di rimessa, ed ha perduto autorevolezza. Nell’attuale situazione, si può prevedere una durata almeno decennale dell’attuale regime (non necessariamente dell’attuale governo).

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