Così nasce il rancore
Che succede quando l’offerta politica è assente, le classi dirigenti si ritirano e i partiti hanno abdicato al loro ruolo
Marco Follini, in una intervista al Dubbio del 9 aprile 2019, ha osservato che si è passati dalla sfiducia al rancore.
C’è in effetti una difficoltà di trovare sintonia tra Stato e società, una sorta di endemico ribellismo. Eppure i due poli vanno insieme. Il grande storico francese Marc Bloch ha osservato che “non si può scrivere la storia dello Stato senza scrivere la storia della società” (traggo la citazione da P. Schiera , E. Rotelli, Introduzione I, 1971, in P. Schiera Lo Stato moderno. Origini e degenerazioni, Bologna, Clueb, 2004). E lo storico Yuval Noah Harari, nel suo Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Bompiani, 2014, ha notato che la letteratura romantica presenta spesso l’individuo come se fosse preso in una lotta tra Stato e mercato. E aggiunge: “Niente di più errato. Stato e mercato sono la madre e il padre dell’individuo, e quest’ultimo può sopravvivere solo grazie a loro”.
Dove vuole arrivare?
A spiegare che nella vita del singolo l’altro e la società sono regolarmente presenti. Anche nella Costituzione individuo e società non sono separati.
Ad esempio?
Ne farò tre di esempi, partendo da tre casi. La Corte costituzionale, con la sentenza 138 del 2010, ha sfruttato l’articolo 2 della Costituzione per spiegare che l’unione omosessuale, pur non essendo un matrimonio, è, tuttavia, una formazione sociale. L’articolo 2 dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. Ebbene, la Corte costituzionale, al paragrafo 8 della sua sentenza, ha osservato che per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità semplice e complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale.
Il secondo esempio?
La sentenza 38 del 1960. Alla Corte era stato posto il problema della costituzionalità delle assunzioni obbligatorie dei mutilati e invalidi del lavoro nelle imprese private con più di 50 lavoratori. La Corte ha fondato il suo ragionamento sull’articolo 3, comma 2 della Costituzione, secondo il quale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Essa ha osservato che la norma che dispone l’obbligo “rimuove, in armonia con lo spirito e il dettato del secondo comma dell’art. 3 Cost., gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione economica e sociale del Paese”.
Passiamo al terzo esempio.
Anche qui una sentenza della Corte costituzionale, numero 102 del 1975. La Corte era chiamata a giudicare la costituzionalità dell’articolo 670 del codice penale, che vieta mendicità e accattonaggio. La Corte si è valsa dell’articolo 4, secondo comma, della Costituzione, secondo il quale ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. La Corte ha stabilito che è causa di non punibilità il caso di chi fisicamente debilitato, e privo di chi per legge debba provvedere ai suoi bisogni, si induca alla mendicità. Marginalizzati, vecchi, malati cronici, analfabeti che non possono lavorare e non hanno assistenza non possono essere puniti perché sono nell’impossibilità di concorrere al progresso sociale.
Quale lezione ne trae?
In queste sentenze è considerata una triade, individuo, società, Stato. Vi sono diritti individuali e doveri di solidarietà dell’individuo, nonché compiti statali di rimuovere ostacoli alla partecipazione degli individui all’organizzazione del Paese.
È la sintonia tra questi tre elementi che sembra essere in crisi.
Sì, ad esempio, quando le regioni del nord assumono orientamenti di tipo egoistico, richiedendo di avere dallo Stato in ritorno quello che pagano nella regione i loro cittadini. A questo si aggiunge oggi una prospettiva nuova, dovuta alla perdita dell’esclusività statale, che rafforza sia diritti, sia doveri. Il cittadino si sente garantito, per alcuni diritti, da dichiarazioni universali dettate dalla sfiducia nello Stato, penetrata nel mondo dopo gli orrori della Prima e della Seconda guerra mondiale. Questi diritti sono in alcuni casi anche azionabili, per cui il cittadino può farli valere dinanzi a corti sovranazionali contro il suo stesso Stato di appartenenza. Però, egli è anche obbligato verso altri poteri che non sono statali. Si ripresenta il problema delle identità molteplici.
Torniamo al ribellismo menzionato da Follini, al passaggio dalla sfiducia al rancore.
Ne vedo la ragione nella perdita del nesso fra i tre poli che le ho indicato, individuo, comunità, Stato. C’è sfiducia nello Stato, distacco, non apatia. Pochi legami sociali, quindi scarsa cooperazione nella comunità. Riscoperta dell’individualismo. E ciò nonostante vi sia straordinaria attenzione agli eventi della vita collettiva, compresa la politica, con una forte partecipazione politica passiva, una debolissima partecipazione politica attiva. E la causa sta nella assenza di offerta politica (ha notato che tutte le forze politiche propongono solo una diminuzione delle tasse?), nella ritirata delle classi dirigenti (quali sono i componenti dell’“establishment” e gli intellettuali che fanno sentire la loro voce?), nella fine dei partiti come organizzazioni sociali.