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Salvini in Emilia-Romagna cercava il plebiscito. Così ha tirato la volata a Bonaccini

La versione di Cassese

La ragione del popolo. Interpretare il leader della Lega alle ultime elezioni regionali con l’aiuto di Tocqueville. La verità come bene politico. Parla Sabino Cassese

Il leader della Lega ha dichiarato il 27 gennaio: “Quando il popolo si esprime ha sempre ragione”. Dunque, Salvini ha ammesso il suo torto.

Prenderò le sue difese, invocando l’autorità del grande Alexis de Tocqueville, che ha scritto in una pagina del suo diario di viaggio negli Stati Uniti, il 25 ottobre 1831: “Il popolo ha sempre ragione è il dogma della repubblica, così come il re non sbaglia mai è la religione degli Stati monarchici”. “E’ un serio problema sapere se l’uno sia più falso dell’altra, ma è certo che né l’uno né l’altra sono veri” (questa osservazione è contenuta in un’opera poco letta dello scrittore francese, il Viaggio in America, tradotto in italiano in A. de Tocqueville, Viaggi, Torino, Bollati Boringhieri, 1997, p. 202). Si consoli, dunque, il politico italiano: anche il popolo si può sbagliare.

 

Ma è un bene che i politici dicano la verità.

Giustissimo, perché la verità è un bene politico, una condizione necessaria di ogni forma di interazione sociale. Ogni forma di decadimento della verità, di distorsione, di manipolazione, fa male alla Repubblica. Franca D’Agostini e Maurizio Ferrera hanno scritto nel 2019 un aureo libretto sui diritti aletici (cioè legati alla verità, al non-nascondimento): F. D’Agostini, M. Ferrera, La verità al potere. Sei diritti aletici, Torino, Einaudi, 2019. Qualche politico italiano, invece, è seguace dell’idea “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventa una verità”, frase attribuita a Goebbels, ma di cui il vero autore è incerto.

 

Scendiamo dall’empireo delle distinzioni vero-falso alle elezioni regionali in Emilia-Romagna, svoltesi a inizio 2019.

Sulle quali tutto è stato detto, salvo la più elementare delle conclusioni: che Salvini ha tirato la volata a Bonaccini.

 

Tanto impegno per far vincere il suo avversario? Siamo al paradosso.

Segua il mio ragionamento. La partecipazione al voto, nelle precedenti elezioni regionali in Emilia-Romagna, a fine 2014, era stata del 37,7 per cento. E’ stata del 67,7 per cento in queste elezioni del 2019. Gli elettori, insomma, non manifestavano entusiasmo per la gestione del governo regionale. Vi sono state poi le elezioni nazionali ed europee, che confermavano la discesa della forza politica al governo regionale. Il leader della Lega ha iniziato con il piede giusto la sua campagna elettorale, battendo sul chiodo dell’alternanza. E’ poi andato in una direzione diversa: ha “nazionalizzato” la campagna elettorale, portandoci i suoi slogan, e l’ha fatta diventare un plebiscito a suo favore. Così facendo, ha spaventato l’elettorato, suscitando una reazione, un moto eguale e contrario, del tipo “salviamo la Patria in pericolo”. Donde le “sardine” e il flusso di voti del M5s verso Bonaccini.

 

Che vuol dire “nazionalizzato”? In che senso plebiscito?

Ha fatto passare in secondo piano sia la candidata alla presidenza della giunta regionale, sia gli argomenti “locali”, insistendo sui suoi argomenti nazionali. In Emilia-Romagna, non si poteva votare Salvini, mentre si poteva votare Bonaccini. Plebiscito nel senso di chiedere alla regione più lontana dalla sua politica di aderire ai suoi orientamenti, per segnare una svolta.

 

Quali gli argomenti e temi nazionali?

Non ci sarebbe bisogno di ripeterli. Pieni poteri a un esecutivo forte. Continuo appello al popolo (il tribunale di Catania giudicherà me e il popolo italiano). Evocazione di una Repubblica presidenziale, con conseguente modifica costituzionale. Tentativo di avviare un referendum di trasformazione della formula elettorale da mista a maggioritaria. Promessa di analogo impegno, per conquistare le regioni che non sono ancora controllate dalla Lega. Evocazione continua del sostegno popolare per la Lega. Accenti nazionalistici o sovranisti. Chiusura agli immigrati. Critica dell’alleanza europea. Sullo sfondo, inclinazione a spostare verso oriente l’asse delle alleanze (Putin e Orbán, invece degli Stati Uniti). Metta insieme con tutti questi argomenti lo stile, sempre assertivo, mai dialogante, e capirà perché i votanti sono stati mobilitati verso la parte che aveva attirato tanto tiepidi appoggi nelle precedenti elezioni, pensando che il prezzo che si paga per alleanze politiche instabili e governi transeunti è inferiore a quello che potrebbe costare la Lega di Salvini con l’uomo solo al governo.

 

Tutto questo conduce al paradosso della Lega onnipresente nelle piazze, ma alla sostanziale vittoria di Pd e di Forza Italia in Emilia-Romagna e Calabria, mentre il Parlamento pare ancora dominato da una ulteriore forza politica in rotta.