Dopo la pandemia: il tramonto dell'idea di rinchiudersi nelle frontiere
Il futuro sarà più povero ma la vita più sicura. Maggiore coesione sociale e un’Europa più unita. Parla Sabino Cassese
Come sarà il mondo dopo la pandemia? E come vogliamo che sia?
Facciamo esercizi di futurologia, non di profezia. E per farli, bisogna partire da una diagnosi di quel che è accaduto. Non è la peggiore pandemia della storia del pianeta. Ma mai fenomeno è stato tanto immediatamente globale e globalmente vissuto e percepito, con tanto immediata partecipazione agli eventi e al dolore. Per la prima volta nella storia, la sperata vittoria (per la vita) sarà all’origine di una più cocente sconfitta (per l’economia). E la sconfitta sarà un danno autoinferto: siamo noi stessi che ce lo stiamo infliggendo, per evitarne uno peggiore. Per la prima volta anche paesi di antica formazione liberale hanno accettato limitazioni che neppure le più feroci dittature hanno imposto, come quelle alla libertà di circolazione, di andare e di venire, anche scegliendo le libertà sospese (ad esempio, quella di culto) e quelle rispettate (ad esempio, quella di stampa). Per la prima volta il mondo di ciascuno si è rimpicciolito: chi doveva essere domani a San Paolo, chi a Parigi, chi a San Francisco, si è trovato chiuso nella propria abitazione. Pierre Manent sul Figaro del 24 aprile ha decretato la fine del bovarismo europeo, perché le nazioni sono rientrate a casa propria. In trenta giorni il mondo è cambiato.
E’ ora di parlare del futuro.
Vedo un mutamento antropologico verso il valore della vita. Una volta sia il morire, sia la morte erano più facilmente accettati. Da ora si può dire che si è disposti a molti altri sacrifici, (la perdita di molte libertà, la nuova povertà che ci aspetta) pur di salvaguardare il valore della vita. Ci sarà una nuova richiesta sociale di sicurezza (“Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case”: Se questo è un uomo, di Primo Levi), che si scaricherà necessariamente sugli Stati e che gli Stati scaricheranno su organismi mondiali, là dove essi non riescono ad arrivare. C’è da rallegrarsi per questo, ma anche da preoccuparsi, perché altri sacrifici dello stesso genere potrebbero domani esser richiesti o imposti.
E i cambiamenti della “governance”?
Sarebbe ragionevole pensare che la legittimazione di chi governa sarà più fondata sulla fiducia (“government by trust”), sul riconoscimento collettivo di appartenenza e di priorità. Pur essendo più lontani, restare più vicini. Dalla tua salute dipende la mia, e viceversa. Prevedo che da quello che stiamo imparando sui modi di reazione alla pandemia nel mondo verrà anche un altro insegnamento: calamità di questo tipo possono arrivare non previste e non ci si può far trovare impreparati nel senso di avere al vertice i Bolsonaro, i Trump, i Johnson. Bisogna fare attenzione a scegliere meglio chi ci governa. Se i posti di terapia intensiva erano in Italia meno di 6 mila e in Germania più di 28 mila (per poi rapidamente quasi raddoppiare), dipende anche da chi sta al governo e sa prepararsi per il futuro.
Non pensa che le scelte tragiche che nel pieno della pandemia sono state fatte avranno una influenza per il futuro?
Tutti hanno diritto alla vita e all’integrità fisica, dispone l’articolo 2 della Costituzione tedesca. E’ uno degli articoli “eterni”, perché non modificabili. Come ha giustamente osservato Habermas, se la saturazione del sistema sanitario costringe a fare scelte e a destinare qualcuno a morire, quel principio è violato. Dunque, si può prevedere che nel futuro cercheremo di non esser costretti a tali scelte tragiche, quindi a rafforzare il principio di precauzione e la sua realizzazione nella pratica amministrativa.
Usciamo da casa, e l’Europa?
“L’Europa vive di crisi”, hanno detto due grandi europeisti, Schmidt e Monnet. Questa crisi sarà la svolta. Perché l’Unione sia un potere pubblico completo, ad essa mancano due attributi: il potere militare e lo “spending power”. Il primo in questo momento è meno urgente. Il secondo lo è, perché solo attraverso il “potere della borsa” un’autorità pubblica può intermediare, sottrarre a qualcuno per dare a qualcun altro. Già i quattro interventi decisi muovono in questa direzione e nello stesso senso di marcia va il fondo di cui si discute. Naturalmente, questo è solo un primo passo. Bisogna ricordare che l’Unione ha poche entrate proprie, può quindi spendere solo prendendo a prestito. E non ha ancora la forza di condividere il debito pregresso (l’Unità d’Italia, quella vera, fu fatta quando, con una delle prime leggi del Regno, lo Stato italiano si accollò il debito di tutti e sette gli Stati preunitari).
Ricapitoliamo: un futuro più povero, ma una vita più sicura; più coesione sociale e maggiore cura collettiva nel dotarsi del personale di governo; una Unione europea più unita. E il mondo?
Sul breve periodo, si viaggerà di meno. Le imprese si assicureranno sistemi paralleli (le catene globali del valore hanno bisogno di ispirarsi alla teoria della ridondanza). Sul lungo periodo, ci si renderà conto che siamo uniti dallo stesso pericolo, tutti egualmente deboli. Quindi, non si potrà uscire da calamità di questo tipo da soli. Il populismo, che è necessariamente nazionalistico (non c’è ancora un popolo mondiale), si spegnerà lentamente. Si capirà che è illusorio rinchiudersi nelle frontiere e che i vari poteri neo-colbertisti, come il “golden power”, sono strumenti utili, forse, se temporanei.