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La Situa - dibattiti universitari

Confrontiamoci su quanto sta accadendo in medio oriente

Nella newsletter del direttore Claudio Cerasa, La Situa, c'è uno spazio di dialogo e confronto con i nostri lettori iscritti all'università. Qui si raccolgono idee sulla guerra a Gaza, su Israele, sui limiti del suo diritto alla difesa, sulle forme di intolleranza che si stanno andando a sviluppare in alcune università italiane

La situa, la newsletter del direttore Claudio Cerasa che esce ogni sabato alle 8 (per iscriversi bastano pochi secondi e due clic, da qui), come sapete, offre la possibilità, agli studenti universitari, di avere i propri scritti pubblicati. Ci piacerebbe pubblicare opinioni differenti sulla guerra a Gaza, su Israele, sui limiti del suo diritto alla difesa, sulle forme di intolleranza che si stanno andando a sviluppare in alcune università italiane. Scrivete 2.000 battute, le migliori saranno pubblicate: [email protected]

   


      

Gentile direttore,
da mesi ci chiediamo, come studenti universitari, in che modo possiamo stare davanti alla guerra in Medioriente. La gravità della situazione ci impone di non rimanere indifferenti perché riguarda la nostra umanità più profonda e il nostro futuro in un mondo, che auspichiamo possa essere sempre più di pace e amicizia fra i popoli. Israele, la Terra Santa per i credenti, non può essere sinonimo di guerra, citando il cardinale Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme: “Tutto il mondo guarda a questa nostra Terra Santa, come ad un luogo che è causa continua di guerra e divisioni”. Israele non può essere sinonimo di guerra, questo va detto chiaramente. Bisogna ammettere che si possano piangere i morti israeliani, ma anche le migliaia di persone uccise a Gaza sotto i bombardamenti di Netanyahu. Non c’è nessuna contraddizione in questo. Di nuovo monsignor Pizzaballa: “La coscienza e il dovere morale mi impongono di affermare con chiarezza che, quanto avvenuto il 7 ottobre nel sud di Israele, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo… La stessa coscienza… mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre a 5000 morti... È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata”. Di conseguenza, non ci può essere la negazione di un dialogo vero e proficuo tra le parti. E l’Italia in questo deve essere da capofila, provando ad essere mediatrice, e perciò non può assolutamente mettere dei veti, soprattutto in luoghi, come le università. Boicottare il bando Maeci, bando che ha come direttive “dalle tecnologie per un terreno sano.. a quelle idriche delle acque industriali e fognarie… per finire con l’ottica di precisione .. per applicazioni di frontiera.” ( Sole 24Ore), è inutile: ostacolare il dialogo tra Paesi non serve a niente. Come ricordato prima, bisogna condannare qualunque forma di guerra, ma in virtù di questo, la collaborazione scientifica non può essere messa in secondo piano.
 
Filippo e Giacomo, Università degli Studi di Torino, Comunicazione politica e pubblica e Storia

   


    

L'ultimo scontro a Gaza ha ravvivato dibattiti intricati su molteplici aspetti, tra cui la legittimità delle operazioni militari israeliane e il loro impatto socio-politico sulle università italiane. Israele dichiara di agire per salvaguardare i suoi abitanti dagli assalti di Hamas, richiamando il diritto internazionale all'autodifesa. Tuttavia, le sue strategie di risposta hanno ricevuto numerose critiche globali per la loro mancanza di proporzionalità, evidenziando la sfida di bilanciare la sicurezza nazionale con il rispetto dei diritti umani nei contesti di conflitto armato. Contemporaneamente, il conflitto ha generato ondate di intolleranza in diverse università italiane, esprimendosi in fenomeni di polarizzazione ideologica. Tali fenomeni includono atti di intimidazione politica, che colpiscono sia studenti ebrei o favorevoli alle politiche israeliane sia sostenitori della causa palestinese, questi ultimi spesso ingiustamente tacciati di antisemitismo. Queste dinamiche hanno imposto sfide complesse alle autorità accademiche italiane, incaricate di moderare il dibattito pubblico nelle aule universitarie e di promuovere un clima di discussione aperta ma rispettosa delle varie sensibilità. Questo impegno fa parte di un tentativo più ampio di assicurare che le università rimangano spazi di apprendimento e riflessione aperti e inclusivi, nonostante l'ambiente di forte polarizzazione. Le tensioni nei contesti educativi riflettono il divario globale riguardante il conflitto israelo-palestinese, mostrando come le dispute geopolitiche possano avere un impatto esteso, influenzando la vita accademica e sociale anche ben oltre i loro confini nazionali. Questo scenario sottolinea la necessità di un'attenta e sensibile gestione delle dinamiche universitarie per navigare efficacemente tra la libertà di espressione e il rispetto reciproco in un'epoca di marcata polarizzazione internazionale.

Saverio Antonio Sacchetti
studente in Scienze della Comunicazione e Media Digitali a Unimarconi

  


  

Libertà accademica in tempi di guerra: quando la moderazione diventa un imperativo morale

Ci sono momenti nella storia dell’umanità in cui si verificano conflitti tanto gravi che la neutralità non è più una strada praticabile e schierarsi non è solo necessario, ma diventa un imperativo morale.
Se ciò è sicuramente vero per quanto riguarda i governi e i singoli individui, tale discorso non è applicabile agli ambienti accademici, dove determinati valori, necessità, opportunità possono essere messi a rischio da un eccessivo “estremismo”.
Il conflitto israelo-palestinese ci pone di fronte a numerosi interrogativi e, di recente, ci invita anche a meditare sul difficile bilanciamento tra libertà accademica, libertà di espressione e autonomia universitaria.
Edward Said, celebre scrittore e accademico americano di origine palestinese morto nel 2003, ha sempre incoraggiato la riflessione critica su questioni di guerra, politica e potere all’interno delle università, promuovendo anche l’attivismo politico in ambito accademico.
Ma cosa succede quando l’attivismo politico delle università va a ostacolare e limitare uno degli obiettivi fondamentali delle università stesse, ossia la ricerca?
Nasce qui un dilemma etico. Si tratta, tuttavia, di un dilemma che, in seguito a una riflessione critica, non è poi tanto difficile da risolvere.
Nonostante il suo spiccato attivismo politico, è difficile immaginare come Said giudicherebbe la recente decisione di alcune delle maggiori Università italiane di boicottare i bandi e le collaborazioni con vari atenei israeliani. Said, infatti, non ha mai sostenuto che le università dovrebbero necessariamente schierarsi in modo partigiano su questioni di guerra e politica. Egli ha semplicemente invitato a un maggiore coinvolgimento critico e responsabile da parte delle istituzioni accademiche nelle questioni sociali e politiche rilevanti, sottolineando l'importanza di una ricerca e di un insegnamento che sfidino le narrazioni dominanti e promuovano la comprensione critica delle complessità delle questioni globali.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Giurisprudenza all’Università di Trieste, ha mantenuto una linea analoga: si è espresso contro il boicottaggio e si è pronunciato a favore della tutela dei collegamenti tra università, che rappresentano opportunità di scambi di riflessioni, di collaborazioni, di esperienze. Naturalmente, ha sottolineato Mattarella, le università devono essere libere anche nel loro dissenso contro il potere, ma ciò non deve implicare un’interruzione del dialogo con Israele e un impedimento a opportunità uniche di apprendimento e di ricerca.
In determinati campi accademici Israele presenta infatti un ambiente di ricerca molto avanzato, che rappresenta una risorsa preziosa per studiosi e ricercatori italiani. Interrompere i collegamenti significherebbe quindi commettere un delitto contro la libertà accademica, contro l’importanza fondamentale della ricerca. Da qui la necessità vitale della moderazione: dopotutto, le guerre si combattono ancora sul “campo di battaglia” e non nelle aule universitarie.

Piera Dutto
studentessa al secondo anno magistrale di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

 

 


   

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