LA SITUA - DIBATTITI UNIVERSITARI

Spunti universitari su quello che sta accadendo in Italia, in Europa e nel mondo

Nella newsletter del direttore Claudio Cerasa, La Situa, c'è uno spazio di dialogo e confronto con i nostri lettori iscritti all'università

La situa, la newsletter del direttore Claudio Cerasa che esce ogni sabato alle 8 (per iscriversi bastano pochi secondi e due clic, da qui), come sapete, offre la possibilità, agli studenti universitari, di avere i propri scritti pubblicati. Ci piacerebbe pubblicare le vostre opinioni su quello che sta accadendo in Italia, in Europa e nel mondo. Scrivete 2.000 battute a [email protected], le migliori saranno pubblicate.

   


  

Ha fatto bene o no Meloni a votare contro Ursula von der Leyen? Lo abbiamo chiesto agli studenti universitari. Scriveteci anche voi, in 2.000 battute, a [email protected]. Le migliori risposte saranno pubblicate.

Giorgia Meloni ha semplicemente deciso di fare affidamento sulla medesima strategia che l'ha portata al successo e all'apice della sua carriera politica: la coerenza. La scelta di non votare a favore di Ursula von der Leyen è la conseguenza della promessa fatta agli elettori di non entrare mai in combutta con la sinistra. La Presidente del Consiglio ha preso atto dell'impossibilità di dare vita a una rivoluzione conservatrice all'interno delle istituzione europee accettando banalmente i risultati delle elezioni. Unirsi ai socialisti e agli ambientalisti più accaniti per una commissione che non ha mai brillato durante tutto il suo mandato avrebbe fatto storcere il naso alla maggior parte dei seguaci meloniani, per questo motivo il capo del governo viene oggi accusata da molti di aver anteposto ragioni di partito agli interessi del suo paese. Personalmente credo invece abbia rispettato ancora una volta se stessa e gli elettori che l'hanno votata rimanendo ancorata ai propri valori. Giorgia Meloni non è mai stata una stratega, la sua fortuna non deriva da elaborati calcoli politici ma dalla fedeltà ai principi che ha sempre sostenuto. Non è detto che questa sarà ancora una volta la strategia vincente per lei o la migliore per il paese, ma non vedo per quale motivo il primo ministro italiano a capo del più solido governo conservatore in Europa avrebbe dovuto unirsi a una maggioranza dove ci sono verdi e socialisti, i quali disprezzano i conservatori come gli italiani disprezzano l'ananas sulla pizza. L'unica cosa che da destra si può rimproverare alla Meloni è quella di aver temporeggiato troppo, di non aver subito espresso con fermezza le proprie intenzioni; ritardo fatale che ha incoraggiato membri dell'ECR a trasferirsi nella nuova formazione politica di destra dei patrioti. Ursula von der Leyen troverà comunque nella Meloni un sostegno fondamentale nelle questioni che contano davvero (leggi conflitto in Ucraina), circostanza che ricorda molto quella del governo Draghi.

Raffaele Varriale
studente di Politica, amministrazione e organizzazione all'Università di Bologna

   


   

Abbiamo chiesto agli studenti universitari di scriverci, in poche righe per spiegare che lezioni possono essere tratte, per la sinistra italiana, dal voto francese. Qui qualche spunto.    

 

Prima di tutto: a crescere.
Quello che oggi arriva all’elettorato italiano è la fotografia di una classe politica fatta da millenial in perenne crisi d’identità e totalmente priva di autorevolezza, più interessata ad abbinare i colori del proprio outfit che ad affrontare le sfide del nostro tempo in modo razionale. Con dati e logica, diremmo.

La nostra sinistra non sa più riconoscersi allo specchio e ce lo ricorda in ogni campagna elettorale quando - nel tentativo di rincorrere una destra sempre più ossificata e sempre più abile nel fagocitare l’intero dibattito politico – riesce solo ad appropriarsi di slogan, di gesti e di strategie, e lo fa anche nel modo più imbarazzante possibile. Cringe, per essere al passo.
 Cosi attenta a non urtare le altrui sensibilità, ha interiorizzato una remissiva sottomissione prima verso il suo elettorato, da cui si lascia dettare il ritmo e il linguaggio dell’agenda politica, e poi dai suoi avversari, da cui se la fa polverizzare.
Infine, contrariamente alla sinistra francese ancora solidamente ideologica, quella italiana trascende l’idealismo. Si rivolge a sotto nicchie meno interessate ad ascoltarla e più intente al trascinarla con loro in pseudo-lotte cariche di contraddizioni che la portano prima a soccombere alla moda dei temi e poi la costringono al doversi rivestire di volta in volta di nuove battaglie, per stare al passo.
Ecco, se la sinistra vuole conservare uno stralcio della parabola di Melenchon, deve cominciare cosi: piazzarsi di nuovo davanti lo specchio, fissare attentamente l’immagine riflessa e dire a sé stessa “Io sono qui. Sono questo. E quindi parlo”. Finché non comincerà a crederci lei per prima.
 
Emanuela Parnof
Ingegneria Meccanica presso la Federico II
       


Terminata l'inebriante foga pre-elettorale, costituita da attacchi contro l'avversario e fantasmagorici programmi, è il momento dei conti. Intendiamoci: non gli aridi conti aritmetici pronti a stabilire che uniti si vincono più seggi; bensì i conti politici: uniti non si governa.
Il campo largo francese, secondo taluni applicabile a tutte le latitudini del globo, è stato il risultato di un guazzabuglio di forze strutturalmente diverse, accomunate dalla propensione a progetti impossibili da implementare. Un affascinante adynaton mirante a epater le bourgeois, che mostra  l’unico insegnamento che è possibile trarre: il campo largo è utopia, intesa nel suo valore etimologico e litotico di “non luogo”.
Il campo largo è un camposanto costituito da farisaici sepolcri imbiancati che celano il cadavere del savoir faire riformista, pragmatico, concreto.
Il campo largo è un campo minato in cui si preferisce tacere per non essere colpiti dal fuoco nemico (e amico). Ambiente untuoso e claustrale, dove rimanere immobili o fingere di rispettarsi vicendevolmente, è l’unica regola per sopravvivere.
Il campo largo è un campo da calcio in cui mentre i giocatori paralizzati non sanno né quali mosse adottare né come fare goal, le curve si animano in uno sterile tifo, riottoso e ignivomo, destinato a radicalizzarsi sempre più. Guasconi radicali antisemiti da una parte e neofascisti nutriti di odio dall’altra, mentre le tribune mediane sono quasi svuotate. Quasi.
La Francia ha dimostrato la permanenza pervicace, pur se un po’ illanguidita, dei liberali. Quel centro dato per morto è forse l’unico singhiozzo di vita, con la sua austerità fatta di poche promesse e di tante manovre, non sempre approvate dall’oclocrazia obnubilata ma essenziali per il Paese. Questa è forse l’unica autentica lezione dei cugini d’Oltralpe per i liberali italiani.
Affinché non perdano la trebisonda annullando la loro identità e atteggiandosi perinde ac cadaver nei confronti di improbabili coalizioni.
Affinché non rimangano a sferruzzare inerti come novelle tricoteuses dinanzi alla ghigliottina della Repubblica, operata dalle curve di un campo, che in fin dei conti, tolte le incipriature e le sublimazioni estetizzanti, non esiste.
 Affinché riempiano gli spalti con tutti coloro che rifiutano di assistere al tripudio della Forma paludata, che nasconde l’orrida palude stagnante dell'utopica Sostanza.

Giovanni Baroncelli
lettere classiche (secondo anno di triennale) all'Università di Bologna

   


         

Cari universitari, c'è un tema che la politica non tratta e che dovrebbe trattare con più forza per smetterla di occuparsi solo dei rancori del passato e per provare a entrare con più forza nelle problematiche che riguardano il nostro futuro? 
  
Lasciare la propria terra e salutare le persone che amiamo dal finestrino di un treno non è mai una scelta facile: in Italia sono circa mezzo milione gli studenti che scelgono di frequentare l’università in un Comune diverso da quello di residenza, spesso distante anche 1000 km da casa, portando con sé quanto di più prezioso hanno, le proprie radici. Stiamo parlando di quei luoghi del cuore dove si nasce, si cresce e se c’è l’opportunità si rimane anche per lavorare, ma soprattutto ci si può avvalere del più grande potere che è stato conferito a ogni cittadino libero, il voto. E qui si pone il problema più grande: da anni gli studenti lontani da casa chiedono a gran voce una riforma per esercitare questo diritto nelle città in cui alloggiano per motivi di studio, evitando viaggi per loro costosi in termini economici e di tempo sottratto agli impegni universitari.
Una battaglia portata avanti anche da tante pagine sui social e recentemente da alcuni artisti sul palco del Festival di Sanremo, da Emma a Big Mama, Diodato e tanti altri. Finalmente però si intravede uno spiraglio di luce: qualche giorno fa in Commissione Affari Costituzionali è stato approvato all’unanimità un emendamento di FdI all’interno del decreto elezioni, consentendo per la prima volta in Italia ai fuorisede di votare alle europee il prossimo 8 e 9 giugno. Per adesso però siamo ancora in una fase di sperimentazione: infatti, si parla solo di "elettori fuori sede che per motivi di studio sono temporaneamente domiciliati, per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data" delle elezioni europee 2024 "in un Comune italiano situato in una regione diversa da quella in cui si trova il Comune nelle cui liste elettorali sono iscritti". Rimangono dunque fuori dalla conta coloro che vivono in altri Comuni per ragioni di lavoro o salute, anche se prontamente il Pd ha già annunciato che presenterà un emendamento per estendere anche a loro tale opportunità. Questo primo passo sembra quasi un déjà-vu del giugno 1946, quando anche le donne conquistarono il diritto di esprimere il proprio voto; certo, in termini più moderni e forse molto meno rivoluzionari, perché qui parliamo di una rivendicazione di qualcosa che già apparteneva ai diretti interessati e che nessuno può togliere loro, essere cittadini e parteggiare.

Michela D’Erasmo
studentessa del DAMS dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.