
La situa - dibattiti universitari
Imparare dall'Ucraina
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di inviarci dei commenti e delle idee su cosa ci ha insegnato la resistenza eroica degli ucraini in questi tre anni
Abbiamo chiesto agli studenti universitari di inviarci dei commenti e delle idee su cosa ci ha insegnato la resistenza eroica degli ucraini in questi tre anni. Se volete scrivere, e siete studenti universitari, mandate 2.000 battute massimo a [email protected]
Oggi, qualche giorno dopo il 24 febbraio, terzo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, mi assale lo sconforto quando prendo atto del comportamento dei partiti italiani in un momento così importante e simbolico. I diversi leader si sono limitati nella migliore delle ipotesi a rilasciare qualche vaga dichiarazione di solidarietà all’aggredito o, nella peggiore, a manifestare una certa fretta ad addivenire ad una pace che, così stando le cose, pare sarà ingiustamente vantaggiosa per la Russia e anche per gli USA.
Sono sconfortato perché penso a quello che succede ogni anno il 25 aprile, quando quegli stessi partiti non esitano a recitare animatamente il solito copione, ormai lo stesso da tempo immemore, impantanandosi in battaglie immaginarie intorno ad un concetto ormai privo di significato concreto: l’antifascismo.
Il 24 febbraio, invece, nessuno di quelli che in altre occasioni si professano indefettibilmente antifascisti, cioè le opposizioni, ha chiesto alla Presidente del Consiglio Meloni di rendere conto della sua assenza a Kyiv, al fianco di altri quindici leader di Paesi alleati dell’Ucraina, impegnata a difendersi contro il fascismo, quello vero, di Putin. Nessuna forza politica ha lodato Zelensky per ciò che è, cioè il capo della resistenza, quella vera, contro le stesse mire espansionistiche che avevano anche i nazisti negli anni ‘30. Tutti hanno contribuito a creare un'atmosfera di passività generalizzata in un giorno che avrebbe dovuto essere caratterizzato, al contrario, da convinta solidarietà e vicinanza morale ad un popolo di eroi morti in battaglia per la propria libertà e da un ripudio sincero dell’imperialismo russo. Naturalmente, ci sono rare eccezioni, come il viaggio di Carlo Calenda a Odessa.
Ciò che allora dovremmo imparare da Zelensky è come riconoscere il pericolo quando si presenta per davvero. Cosa significa essere patrioti, a differenza dei presunti sovranisti, non altro che utili idioti di autocrati stranieri. Cosa significano veramente le parole libertà e antifascismo. Ecco l’esempio di Zelensky: preoccupatevi della realtà, non di dispute fantasiose, perché è qui che si combatte davvero per ciò in cui si crede; ricordatevi che esistono valori in nome dei quali si deve lottare e, finanche, morire, invece di nascondersi dietro un semplicistico pacifismo.
Naturalmente, sarebbe anche necessario che la presa di coscienza fosse seguita da azioni concrete ed efficaci, magari adottate con un voto bipartisan a supporto dell’alleato invaso. Ma questa allo stato sembra essere destinata a rimanere una speranza.
Matteo Vuolo
studente del IV anno di Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II"
Sono trascorsi esattamente tre anni dall'inizio della guerra, tre anni in cui Volodymyr Zelensky è passato dall’essere un ex comico e attore che presiedeva l'Ucraina solo in una fortunata serie televisiva a diventare un simbolo della resistenza ucraina contro l’invasione russa voluta da Vladimir Putin (e da nessun altro, con buona pace di Donald Trump). La sua leadership ha mostrato al mondo cosa significhi combattere non solo con le armi, ma anche con la diplomazia e il coraggio di non piegarsi. Dal primo giorno del conflitto, quando ha rifiutato l’offerta americana di lasciare Kiev rispondendo con il celebre “Non mi serve un passaggio, mi servono munizioni”, Zelensky ha saputo incarnare la determinazione di un popolo. Ha portato il dramma ucraino nelle stanze dei potenti, dai parlamenti occidentali al Congresso USA, ottenendo miliardi di dollari in aiuti militari e finanziari. Ma oggi, a tre anni dall’inizio dell’invasione, la situazione è cambiata. L’Ucraina è stanca e, soprattutto, l’Occidente sta iniziando a vacillare, con Donald Trump che continua a mandare messaggi disincentivanti definendo addirittura Zelensky “dittatore” benché non sia lui a governare ininterrottamente dal 1999 o dal 1994 come Putin e Lukashenko. Se gli Stati Uniti dovessero davvero chiudere i rubinetti, l’Ucraina si troverebbe in una situazione disperata. Zelensky lo sa bene, e per questo sta cercando di rafforzare i legami con l’Europa, spingendo per accelerare l’ingresso nella NATO e nell’UE. Ma senza il supporto militare americano, l’esercito ucraino rischia di trovarsi senza munizioni e senza la capacità di resistere a una Russia sempre più aggressiva. Dopo tre anni di guerra, Zelensky ci ha insegnato che la resistenza è possibile, che la comunicazione è un’arma potentissima e che il coraggio può spostare gli equilibri. Ma ci ha anche mostrato che la libertà ha un prezzo altissimo, e che senza il sostegno degli alleati l’Ucraina rischia di pagarlo da sola.
Gerardo Jr Maccauro
Lettere Moderne alla Sapienza di Roma
"C'è un vento dall'Est che porta tempesta". Così diceva Sherlock Holmes di Conan Doyle, intuendo il cambiamento epocale che avrebbe sconvolto il mondo.
È chiaro come l'invasione russa del 2022 abbia scosso gli equilibri del nostro continente, ma abbia anche rivelato al mondo intero la determinazione di un popolo guidato da un leader inaspettato: Volodymir Zelensky.
Attraversando le pianure e i fiumi della sua martoriata terra, continua a soffiare da troppo tempo un vento di violenza e conquista, che porta, però, con sé anche l'eco strozzato del suo popolo in lotta per la libertà. Sotto la guida del Presidente Zelensky, la resistenza ucraina è diventata il simbolo di una lotta eroica per l'affermazione di valori cari al nostro vecchio Occidente: la libertà e l'autodeterminazione dei popoli.
Ed è soprattutto per questi ultimi che l'Occidente, fin dal primo momento, ha deciso unitariamente di mostrare il suo volto migliore. Quello della solidarietà morale e del sostegno materiale al Presidente e al popolo ucraino. La storia, infatti, ci ha insegnato che ogni volta che abbiamo ignorato tali venti di violenza e conquista, gli stessi sono diventati sempre più forti, finendo per travolgerci. Il Presidente Zelensky ci ha inoltre ricordato che la libertà è un valore altissimo, che non si può barattare con i meri interessi economici o compromessi vari.
Dopo tre anni, sebbene la guerra abbia già spezzato moltissime vite, distrutto città e lasciato cicatrici profonde, tra le rovine di città distrutte fiorisce la speranza. La speranza che ogni sacrificio ucraino non sia stato vano. La speranza che la libertà si possa difendere. La speranza che un popolo non debba vivere oppresso.
Finché quel vento soffia, non possiamo che stare con chi sceglie di resistergli. Finché sentiamo l'eco di speranza di chi resiste, non possiamo che cercare di placare quel vento, piuttosto che alimentarlo. Ignorare quel vento oggi, significa prepararsi a sentirlo bussare alle nostre porte domani.
Gianpaolo Lista
studente di giurisprudenza presso l'Univerità degli Studi di Bari "Aldo Moro"
Il contesto europeo si è reso per anni alieno dalle implicazioni del conflitto inter-umano, inebriandosi della straordinarietà della pace e abbeverandosi presso la fonte di una libertà apparentemente inestinguibile. L’esemplificazione del perseguimento di una simile libertà, assiduamente rivendicata, forgia la propria essenza a partire dalle azioni del presidente ucraino V. Zelensky. Negli occhi del capo di stato si riflette l’immagine distinta di un popolo che nuota nelle lacrime versate alla ricerca di una sensazione che sia anche lontanamente paragonabile alla tranquillità, di chi sia nato per vivere e debba cercare di tenere intrappolati tra le mani i brandelli di una esistenza intimamente lacerata dall’avvento del conflitto.
La moderazione diplomatica lascia dunque spazio a un nazionalismo emozionale, dietro cui si cela la tribolazione di una delle tante madri del popolo ucraino, che vede nel sorriso innocente del proprio figlio la serenità immacolata dell’ignoranza infantile aliena alla tragedia e capace di ricambiare il turbinio sanguinoso dell’attacco russo con uno sguardo confusamente primitivo e sinceramente indolore al male della vita. Il macigno dell’autorevolezza propria del ruolo di capo di stato è smussato dalla genuinità delle voci ucraine, che paiono intonare all’unisono una melodia cantilenante che sfocia in un coro evangelico, inneggiando a una libertà che guida il popolo e ne reca l’eco di aiuto; una simile unione di voci dal significato enigmatico è l’espressione verbale di un’unanimità d’intenti, recante il dolore della guerra e la ricerca spasmodica di una pace il cui ricordo funge da ente corroborante lo spirito degli assediati.
Una resistenza di stampo marcatamente nazionalista è l’arte di chi abbracci una prospettiva vincente durante una partita che pare persa in partenza; così il presidente ucraino si eleva a rappresentante universale del particolarismo del proprio popolo, inscrivendo all’interno del proprio quadro nazionale il dipinto di una umanità fisicamente flagellata ma così intimamente viva e capace di sbiadire con un’onda di purificazione quasi catartica l’orrore del conflitto.
Il presidente ucraino definisce dunque il contorno del termine “speranza” impartendo all’umanità tutta un insegnamento universalmente condivisibile, che suggella l’onnipotenza della resistenza nazionale e purifica dal timore della sconfitta un animo corrotto da una crudeltà conflittuale di fattura ugualmente umana.
Alice Di Terlizzi
Bachelor in International Politics and Government, Università Bocconi
Il 24 febbraio del 2022 la vita di migliaia di persone cambia all’improvviso, non esiste più il suono della campanella all’uscita di scuola o i pomeriggi passati in cortile con gli amici.
Resta solo l’odore della polvere da sparo. Il calore delle bombe. Il freddo dell’inverno; non si raccolgono più fiori ma proiettili. Non chiamarla invasione sarebbe un’offesa per tutti coloro che hanno perso la vita per difendere la cosa più semplice e scontata, la propria casa. Siamo abituati a sentirci vicini ad un luogo, perché lì abbiamo i nostri ricordi, la nostra felicità e tristezza sono racchiuse in quelle quattro mura in cui abbiamo trascorso la vita.
Sono passati tre anni e ancora non si vede la luce in fondo al tunnel, l’Europa da una guerra ai confini di casa ha imparato il significato delle piccole cose, di quanto sia bello tornare a casa e sentire il suono della televisione accesa, il profumo della cena pronta.
Il presidente Zelensky è diventato il simbolo della resistenza ucraina nella guerra contro la Russia; è oggi criticato perché non sarebbe legittimato dal voto popolare, ma avrebbe continuato il suo mandato. Tuttavia, paragonarlo ad un autocrate è un ossimoro, dà valore alla propria terra e al desiderio di voler ristabilire l’equilibrio che è stato distrutto da un’invasione autoritaria e sovranista.
Il sentimento europeo è nato dalla voglia di ricostruire e rialzarsi insieme, questi sono ideali che l’invasione Russa ha ricordato ai cittadini europei; la guerra e le armi come mezzo di autodistruzione delle coscienze quanto più degli orrori delle bombe. Ma è soprattutto la memoria del valore dell’accoglienza, tanto caro più di tutti agli italiani e di quanto sia bello aprire non solo le porte di casa ma i propri cuori a bambini che invece di andare a scuola sono rimasti nei bunker per cercare di salvarsi.
Il presidente Zelensky celebra il sogno di voler restituire una casa ai cittadini ucraini, per osservare quella fotografia sul mobile della cucina, guardare il proprio film preferito in salone o leggere un libro davanti al caminetto.
Zelensky con le sue azioni e i suoi discorsi ha rammentato come tutto ciò per gli Ucraini non sia realizzabile; la quotidianità sostituita dalle uniformi militari, le abitudini come merce di scambio per la guerra. La lezione più significativa che il presidente concede all’Europa è il valore della democrazia e di come sia difficile mantenerla e alimentarla, l’unica difesa contro chi vuole cancellare le memorie di un popolo. Sembra una storia lontana da noi e dalla nostra vita ma in realtà dietro l’angolo c’è chi ancora ha paura del buio.
Alessia Lapietra
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza, Università Bocconi