Donald Trump (foto Ap, via LaPresse)

La situa - dibattiti universitari

A proposito dei dazi di Trump

Esiste la possibilità di provare a trasformare i dazi in un'opportunità per rendere l'Italia e l'Europa maggiormente attrattivi?

Abbiamo chiesto agli studenti universitari di ragionare sulla possibilità di provare a trasformare i dazi in un'opportunità per rendere l'Italia e l'Europa maggiormente attrattivi. Qui un po' di spunti, mandate anche voi a [email protected]. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi). Se non sei ancora iscritto alla newsletter del direttore Claudio Cerasa puoi farlo qui: è veloce, è gratis.

    


    

Con il ritorno di Donald Trump sulla scena politica e la concreta possibilità di nuovi dazi, il governo Meloni ha espresso l’intenzione di avviare un negoziato diretto con Washington, consapevole di quanto sia cruciale l’export per il nostro sistema produttivo. Ma se i dazi rappresentano un problema, potrebbero anche nascondere un’opportunità sotto forma di minaccia. Le tariffe doganali proposte da Trump colpiscono in particolare settori simbolo del made in Italy: agroalimentare, moda e meccanica. La reazione immediata sarebbe quella di alzare barriere o di affidarsi esclusivamente alla diplomazia. Tuttavia, esiste un’altra strada: sfruttare questa fase di incertezza per rendere il nostro Paese più competitivo e attraente. Se interpretati in modo strategico, i dazi possono spingere le imprese italiane a rivedere le proprie dinamiche produttive e commerciali. Puntare su una maggiore autonomia nella catena del valore, investire in digitalizzazione e automazione, diversificare i mercati di sbocco e rafforzare i legami con aree extra-UE sono tutte azioni che possono rendere le aziende più resilienti, meno dipendenti da un singolo partner commerciale e pronte a cogliere nuove opportunità globali. Inoltre, questo scenario può rappresentare un’occasione per lo Stato di intervenire in modo strutturale: semplificare la burocrazia, promuovere l’innovazione, e premiare la qualità e la sostenibilità. Rendere l’Italia più efficiente significa anche diventare una meta più attraente per gli investimenti esteri. La mia opinione? I dazi sono una bella rogna, sì, ma anche una sveglia. Rappresentano una sfida da trasformare in trampolino. Possiamo e dobbiamo usarli per trasformare la nostra economia con la volontà di diventare più forti. È dunque fondamentale negoziare, ma è ancora più importante prepararci. I dazi passeranno, ma l’efficienza che possiamo guadagnare rimarrà. E sarà proprio questa a fare la vera differenza per l’Italia del futuro.

Aurora Forlivesi
studentessa di LM COMPASS (curriculum giornalismo e comunicazione politica) dell’Università di Bologna
 
 
I dazi trumpiani costituiscono una barriera al colloquio commerciale internazionale di un Paese come l’Italia che, seppur fortemente connesso ai mercati esteri, deve concedersi la possibilità di guardare oltre la coltre di difficoltà tariffarie al fine di rivisitare le priorità economiche nazionali, al cui interno si annida circoscritta una varietà di obiettivi realisticamente perseguibili. 

Primo tra tutti, l’Italia può tramutare il limite daziario rispetto alla compravendita di prodotti importati nella opportunità concreta di potenziare l’industria italiana, mediante la produzione di beni e servizi in un mercato che li vede essere i sostituti a prodotti simili, provenienti da Paesi esteri; inoltre, stressare la rilevanza del mercato italiano si allinea a una visione avanguardista di sviluppo geo-localizzato, più intimamente motivato da un filone di orgoglio nazionalista, firmato Made in Italy.

In aggiunta a una rinnovata attenzione alla localizzazione della produzione in sede italiana, il danno tariffario può evolversi in un incentivo alla diversificazione dei mercati di investimento tramite la targetizzazione mirata di aree in via di espansione, aventi meno ostacoli daziari; un dialogo con realtà in via di sviluppo e ancora relativamente vantaggiose in termini fiscali può essere dunque bilanciato dal piano di rilancio della manifattura italiana, che tenta lo svincolamento dalla concorrenza estera a basso costo. Da ultimo, i dazi possono celare - dietro la propria copertura di subdola imposizione statunitense - la possibilità di investire capitale umano in settori quali l’innovazione e la sostenibilità, applicate a prodotti qualitativamente controllati e che generano occupazione; simili caratteristiche possono propugnare la rilevanza economica di un’Italia pronta ad emergere dal mare di instabilità geopolitica contemporanea e a navigare non più a vista, ma in virtù di una rotta commerciale corroborata da un’aria di rivalsa in termini economici e, più propriamente, identitari.

Alice Di Terlizzi
studentessa presso l’Università Bocconi - Bachelor in International Politics and Government
 
 
I dazi imposti dal neo-presidente Donald Trump rappresentano il tema che più spaventa il continente europeo, ma principalmente chi opera nel campo dell’economia e tutti coloro che gestiscono un’attività legata all’esportazione o importazione da e verso l’America.
Il dazio non è certo uno strumento inventato da Trump né una misura adottata in seguito ad una scelta irrazionale; anzi, viene da pensare che la sua intenzione fosse proprio quella di indebolire l’Europa, per sfidare in qualche modo il nostro mercato e rafforzare ulteriormente la propria posizione di potere nelle borse mondiali.
Nonostante si trattasse di un’idea ben studiata, oggi sembra che si stia facendo sempre più marcia indietro: una sorta di ripensamento, arrivato a pochi giorni dall’emanazione dei dazi.
In questo scenario di duello economico tra i mercati mondiali, l’Europa non può altro che “cogliere la palla al balzo”: cominciare a valorizzare il mercato interno dell’Unione europea, nel rispetto dell’idea originaria di un mercato comune e liberale.
Per l’Italia, l’opportunità è quella di utilizzare i dazi di Trump a proprio vantaggio. Le potenzialità dell’artigianato, della manifattura, del settore enogastronomico e di quello metalmeccanico potrebbero emergere se si attuasse una politica volta a incentivare nuovi investimenti sul suo italiano ed europeo. Questo contribuirebbe a contenere gli effetti dei dazi e tutte le relative conseguenze.
I vantaggi derivanti da investimenti mirati nei settori danneggiati dai dazi di Trump potrebbe fungere da leva a tutti gli altri settori dell’economia italiana, che dopo il Covid faticano a riprendersi. Un piano economico bancario e statale potrebbe sembrare un progetto rischioso, quasi “un salto nel vuoto”, ma se funzionasse, rappresenterebbe una soluzione per il mercato a lungo termine e non dipenderebbe da mercati extraeuropei.
Sembra quasi un racconto biblico: come Davide che sfida Golia, in una guerra fatta di dazi

Alessia Lapietra
corso di laurea in Giurisprudenza. Università Bocconi di Milano
 
 
La prima lezione è che su energia, difesa e tecnologia dobbiamo essere sicuri di essere autonomi. I dazi sono una misura "protezionistica". Il termine sottintende che gli USA vogliono proteggersi da noi, perché ci considerano possibili avversari, dagli amici mica ci si protegge. Come nelle amicizie tra persone, affinché siano sane e non tossiche, serve che non ci siano rapporti di dipendenza. Dobbiamo essere alleati di tutti, ma completamente autonomi se necessario.
La seconda lezione è che dobbiamo fare produzioni ad alto valore aggiunto. La gara della globalizzazione l'ha vinta chi ha avuto più ingegneri, non più operai. La produttività italiana è ferma da 25 anni e quel po' di competitività l'abbiamo mantenuta con un basso costo del lavoro. Con questi nuovi dazi e l'inflazione che ne seguirà o aumenterà la qualità delle produzioni per stare nel mercato globale o sarà l'ennesima crisi. Non spererei nella "distruzione creatrice". La distruzione ci sarà sicuramente, la parte della creazione va stimolata e guidata con visione e piani industriali. 
La terza lezione è che soli siamo meno che una provincia. Oggi esistiamo nel panorama globale solo in quanto membri dell'Unione Europea. Trump ci volta le spalle con una guerra (commerciale, ma pur sempre una guerra) mentre Putin ci aggredisce frontalmente e la Cina aspetta di comprarci a poco prezzo.  Possiamo sederci a trattare su energia, conflitti e commerci solo come unico grande blocco politico, per farlo però i governanti dei 27 devono cedere sovranità a Bruxelles. Riusciranno i nostri governi a cedere il potere del proprio orticello, per realizzare finalmente la grande Europa?
Forse sarà la paura a spingere finalmente ad agire su questi tre fronti, se almeno resta un minimo di istinto di sopravvivenza.

Giulio Albano
dottorando in Economia e Finanza