
Lega nerd
L’ottava stagione è partita con ritardo perché gli attori stavano ri-negoziando i compensi. Cifre da favola: un milione di dollari a puntata per le prossime 72, fino alla decima, più un’opzione per l’undicesima. Soldi ben spesi, i profitti di “The Big Bang Theory” si calcolano in miliardi di dollari e gli analisti valutano che i nerd contribuiranno ai bilanci della Time Warner ben oltre la scadenza di programmazione. Forse non come “Star Trek”, la serie di Gene Roddenberry che vanta repliche su repliche, dal 1966 a oggi, la maggior parte quando la Nbc decise di cancellarla dopo la terza stagione e i diritti passarono alla Paramount che mise a frutto gli investimenti vendendo gli episodi in 60 paesi. Il resto è storia: fan assatanati, film più o meno riusciti, serie dedicate alla next generation, J. J. Abrams che quasi mezzo secolo ricomincia da capo raccontando il giovane Spock e il giovane Kirk.
“The Big Bang Theory” – per essere precisi una sit-com, quindi con le risate registrate – prese il via nel 2007, nulla faceva immaginare tanto successo. In scena due nerd irriducibili: Sheldon, genio ragazzino della fisica teorica e Leonard, altrettanto giovane genio della fisica sperimentale. Abitano insieme, in un appartamento dove la tenda della doccia non ha i soliti pesciolini o le finte gocce ma la tavola periodica di Mendeleev. Sono i secchioni, la pupa Penny sta nell’appartamento a fianco: Leonard se ne innamora appena la vede, ma in curriculum non ha un corso che insegni a corteggiare le ragazze. A loro toccano paghe percepite finora solo dagli attori di “Friends”, gli assegni sono intestati rispettivamente a Jim Parsons, anche titolare di quattro Emmy e un Golden Globe, Johnny Galecki, Kaley Cuoco. Sheldon ha un QI spaventosamente alto, forte di un’intelligenza che sconfina nell’idiozia: gli sfuggono le sfumature del linguaggio, prende tutto alla lettera e non coglie l’ironia. Indossa sempre una maglietta a maniche corte sopra la maglietta a maniche lunghe, le mette in lavatrice alla stessa ora dello stesso giorno, ogni settimana, guai a scombinargli la routine perché dà di matto. Nel primo episodio della prima stagione, assieme a Leonard va per donare il seme alla banca dei geni. Neanche riescono a riempire il modulo, l’addetta li caccia via.
All’inizio dell’ottava stagione – in onda su Joi, Mediaset Premium – Leonard è finalmente riuscito a conquistare Penny (a furia di prove, errori, cambiamenti di paradigma, direbbero i filosofi della scienza). Sheldon esce – quando costretto – con Amy, microbiologa occhialuta e bruttina che studia i recettori del piacere nelle meduse – dopo averle fatto firmare un contratto tra fidanzati. Galeotto fu un profilo falso su un sito di incontri online, l’uomo dalle due magliette sovrapposte non ne sapeva nulla, gli amici – un astrofisico e un ingegnere spaziale, qui con la terza media non c’è nessuno, una delle prossime guest star sarà il teorico del tutto Stephen Hawking – l’hanno compilato con generosità. “E’ bello vedere una coppia che tiene viva la fiamma della burocrazia”, commenta Leonard, quando li sente calcolare il numero di serate settimanali da passare assieme (con o senza amici le uscite hanno punteggi diversi). “The Big Bang Theory” ha una bellissima sigla – musica dei rocker canadesi che si fanno chiamare “Barenaked Ladies” – che parte appunto dal Big Bang per finire sul divano dove i nerd si sfidano a trivial e ai videogiochi (qualcosa deve essere andato storto nell’evoluzione, se per accoppiarli servono gli spintoni). Trattandosi di sit-com, i personaggi non cambiano, figuriamoci se crescono, e già la presenza di ragazze fisse procura un brividino ai fan della prima ora. Per il resto, è libertà totale. Si possono godere gli episodi anche vedendoli a caso, perfino se la mezzora scarsa è già cominciata le battute fanno ridere lo stesso. Ne servono poche per familiarizzarsi con i genietti pasticcioni. Non c’è il rischio di perdere il filo, come capita con “Game of Thrones”.
“The Big Bang Theory” omaggia la grande tradizione delle comicità americana che sforna battute su battute, senza allontanarsi dal divano o dal laboratorio (qualche scena in macchina, nell’ultima serie, giusto per variare il panorama). In controtendenza con le nuove serie che puntano sulla narrazione e sui colpi di scena, qui la trama tende allo zero. Aspettiamo la gag successiva, e poi quella dopo, e quella dopo ancora. Arrivano a raffica, come capita quando leggiamo una raccolta di frammenti o di aforismi.
Mariarosa Mancuso


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