Robinsonate

Mariarosa Mancuso
“The Last Man On Earth” all’inizio sembra un naufrago di Defoe (ma per fortuna non lo è)

Comincia come la più classica delle robinsonate. Del resto una robinsonata era – al netto delle complicanze – anche la serie “Lost” (del primo “naufrago che vince non si cambia” si rese responsabile Daniel Defoe medesimo: il successo di “Robinson Crusoe”, scritto a quasi 60 anni, servì per pagare i debiti, e allora perché non mettere in cantiere altre avventure?). Siamo nel 2020, un barbuto giovanotto di nome Phil Miller vaga di stato in stato cercando altri sopravvissuti all’epidemia. Nessuna risposta. “Sono vivo e sono a Tucson”, scrive sui manifesti stradali, sperando di non essere rimasto solo al mondo. Intanto raccoglie gli oggetti che gli serviranno per arredare la nuova casa, nettamente al di sopra delle sue possibilità: un quadro di Gauguin, il tappetino della Casa Bianca con l’aquila, le scarpette rosse di Dorothy nel “Mago di Oz”, una mummia, la tuta dell’astronuauta che conquistò la luna, qualche Oscar.

 

Comincia come la più classica delle robinsonate. Solo che Phil non ha la tempra – e neppure la voglia – per ricostruire da solo il mondo. Gli interessa solo risolvere il problema dello sciacquone (inventa una piscina-cesso con rotolo di carta igienica vicino alla scaletta), della birra con gli amici (chiacchiera con i palloni come Tom Hanks in “Cast Away”), della compagnia femminile (rimorchia un manichino in una vetrina). Una vita che finisce per venire a noia, e infatti Phil già alla fine del primo episodio non si diverte più a far l’autoscontro con le macchine di lusso, o a sguazzare in una piscina di margarita. E comincia a inveire contro Dio: “tutta colpa tua”.

 

Dietro “The Last Man on Earth” (in onda su Fox Comedy, la prima puntata ieri) ci sono Phil Lord e Chris Miller: ultimo successo pervenuto, “The Lego Movie”. “Da un’idea di…” non si può più dire, da quando Stefano Accorsi se n’è appropriato per metterlo nei titoli di testa di “1992”. Se si potesse dire, sarebbe da un’idea di Will Forte, il giovanotto che in “Nebraska” di Alexander Payne deve vedersela con un padre che perde la dentiera sui binari e una madre che si alza la gonna davanti alla tomba dell’ex corteggiatore “guarda cosa ti sei perso!”.

 

Comincia come la più classica delle robinsonate, ma non lo è. Dopo aver pensato al suicidio, l’Ultimo Uomo Sulla Terra vede un reggiseno steso, appartenente all’Ultima Donna Sulla Terra. Una gran rompiballe che gli corregge la grammatica e lo vuole cambiare. “Non scoperei con te neanche se tu fossi l’ultima donna sulla terra”, spiega Phil quando la bruttina, antipatica e chiacchierona Carol gli sussurra qualcosa sul mondo da ripopolare (“siamo rimasti solo noi, è un segno”). Come ogni ragazza rispettabile – e come Cameron Diaz in “Cose molto cattive” - anche lei sogna il velo bianco, e “camminare in quella maledetta navata”.

 

Svelare un segreto della trama era necessario, per non rischiare abbandoni prematuri (nel primo episodio c’era uno che parlava da solo, non sarà così per le altre 13?). La robinsonata butta sul comico. Lei aspetta la prima notte di nozze per un delirio ecologico (durante) e una mangiata di fagioli (dopo). Lui torna a fare gli occhi dolci al manichino.

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