Vita vissuta
Un funerale vikingo, con il cadavere al largo su una barca. Un cadavere a rigore non ci sarebbe, a bordo si accomoda la vivissima Julia Louis-Dreyfus (faceva la massaggiatrice in “Non dico altro” di Nicole Holofcener, si innamorava di James Gandolfini, ai suoi occhi l’uomo perfetto e agli occhi dell’ex moglie uno stronzo insopportabile: il resto va visto, se ve lo siete persi). Prima di prendere il largo, aveva festeggiato con le amiche Patricia Arquette e Tina Fey il suo “Last Fuckable Day”, l’ultimo giorno di scopabilità. Il momento in cui al cinema ti propongono solo parti da madre, oppure commedie romantiche in cui due femmine si disputano il quasi ottantenne Jack Nicholson, oppure rigirano il film che ti ha resa celebre con un attrice che ha la metà dei tuoi anni.
“Rifaranno ‘Boyhood’ con Selena Gomez”, annuncia Patricia Arquette (che fuori dallo sketch ha superato l’estrema prova: nel film di Richard Linklater – le riprese sono durate dodici anni – lei si arrotonda e il partner Ethan pare imbalsamato in un’eterna giovinezza). La scenetta viene da “Inside Amy Schumer”, serie comica in onda su Comedy Central e da noi ignota. In scena, una bionda grassottella di 33 anni, sboccata come Sarah Silverman. E perfida come Tina Fey, che quando nello sketch la vede arrivare – il “Last Fuckable Day” viene festeggiato con un picnic nei boschi – la inquadra subito: “Lo so chi sei, quella che in tv parla sempre della sua passera”.
Ne parla, per parlarne. Si becca l’herpes con uno di passaggio, e invoca Dio. Da lassù, si manifesta Paul Giamatti, maglione e pantaloni bianchi, il tono di un genitore dimenticato alla casa di riposo: “Ti rendi conto che l’ultima volta mi hai chiamato sette anni fa?”. Contrattano: “Per toglierti l’herpes dovrei uccidere un intero villaggio in Uzbekistan”. Lei non vuole smettere di bere, in cambio offre un pompino, e si becca un “sono gay” come risposta. Conclusione divina (pronunciata con amarezza): “Forse dovrei smettere di fare tante donne bianche”.
Come Kristen Wiig (la ragazza che in “Le amiche della sposa” veniva scaricata da Jon Hamm con un definitivo “non sei più la mia numero tre”) e come Lena Dunham della serie “Girls”, Amy Schumer è una creatura di Judd Apatow. Per rinfrescare la memoria: il genio dietro “40 anni vergine” e “Molto incinta”, uno che tutto appariva men che un incubatore di comici femmina (lo scriviamo apposta per far arrabbiare le boldrini, qualche giorno fa abbiamo sentito dire “membra della commissione” e ancora non ci siamo ripresi; e poi insomma, un comico è un comico come una sentinella è una sentinella).
Apatow deve la conoscenza di Amy Schumer a un “driveway moment”: l’aveva sentita alla radio mentre guidava, arrivato a destinazione è rimasto fermo nel parcheggio fino alla fine del programma. Da regista, l’ha diretta in “Trainwreck”, gran successo al festival South By South West, uscita americana il 17 luglio, da noi a settembre con il titolo “Un disastro di ragazza”. La serie tv doveva essere in origine più strutturata, non un’alternanza di sketch e interviste per strada (“qual è l’ultimo sexties che ti sei fatta?”: in questo caso la “a” ci vuole, le intervistate erano tutte femmine). Poi qualcuno le suggerì “go bananas”, fai la matta, e lei decise di prendere come modello – sgangherato alquanto, e bisogna tener conto che Louis C. K ha quindici anni di esperienza in più – la serie “Louie”.
Prima dell’incontro con il mentore Apatow, un padre con la sclerosi a placche e una bancarotta in famiglia, storie che Amy ha riciclato nei suoi sketch (stendiamo un pietoso velo sui comici nostri). Vita vissuta anche in “Compliments”: le amiche che si incontrano e finiscono per menarsi, dopo uno di quei dialoghi “ma come ti sta bene quel vestito, ma come sei in forma” / “mannò ho le occhiaie, e lo straccetto vien dal mercatino”. E probabilmente nell’ultimo sketch “12 Angry Men”, mezz’ora in bianco e nero a imitazione del film “La parola ai giurati”: dodici maschi chiamati a stabilire se Amy Schumer “è abbastanza figa per andare in tv”.


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