Due storie in una

Mariarosa Mancuso
L’arma più potente dello scrittore è il punto di vista. Perfino in una banale storia di corna

    Wilkie Collins ai tempi suoi gareggiava in popolarità con Charles Dickens che lo aveva tenuto a bottega, e con un moto di invidiosa stizza giudicò “snervante” la trama di “La pietra di Luna”. “Falli ridere, falli piangere, tienili sulle spine” era il trattamento riservato dall’allievo ai lettori che aspettavano le puntate di “La donna in bianco”. Accadeva quando a Londra i romanzieri erano famosi come rockstar: i libri del maestro venivano piratati da stenografi che presenziavano alle letture pubbliche, e in mancanza di leggi sul diritto d’autore passavano il materiale agli editori americani.

     

    “Tienili sulle spine” non voleva dire soltanto una trama complicata, con tanti colpi di scena. Nessuno era più bravo di Wilkie Collins nell’arte di tacere informazioni al lettore, prolungando la suspense. Gli piaceva però giocare pulito: per questo in “La pietra di Luna” leva di mezzo il narratore ottocentesco che tutto sa e tutto vede, quindi se trattiene un’informazione lo fa in malafede. La scomparsa e il ritrovamento del diamante color della luna sono raccontati alternando i punti di vista. Ogni personaggio – usato come testimone – riferisce quel che sa, spesso attraverso scritture “di servizio”, non letterarie: memoriali, diari, lettere.

     

    Non c’è arma più potente del punto di vista, per uno scrittore. Perfino una banale storia di corna ne esce ravvivata e appassionante (“banale” nel senso che non conduce a suicidi ferroviari, come in “Anna Karenina” o a suicidi per avvelenamento, come in “Madame Bovary)”. In onda su Showtime – stesso network a pagamento di “Dexter”, “Homeland” e “Master of Sex” – “The Affair” racconta la liaison tra Noah e Alison. Lui, sposato e padre di quattro figli, è un insegnante con velleità letterarie, disprezzato dal suocero che scrive best seller (guadagna abbastanza soldi per una villa con piscina a Montauk, negli Hamptons, e per allungare generose mancette alla figlia che ha sposato un belloccio buono a nulla). Lei fa la cameriera in un locale: la famiglia felice si ferma per uno spuntino che per poco non finisce in tragedia, colpa di un boccone andato di traverso.

     

    Le puntate (dieci nella prima stagione, la seconda già ordinata) usano con destrezza il punto di vista. La prima metà della puntata è raccontata con gli occhi di Noah, la seconda metà della puntata è raccontata con gli occhi di Alison. Ognuno racconta la storia a modo suo: prima occhiata, paura per il boccone andato di traverso, secondo incontro sulla spiaggia – cambiano i vestiti, e cambia la scusa per l’approccio – e tutto quel che di solito segue. Con un pizzico di noia, quando manca un’idea originale su come raccontare la solita vecchia storia: Sarah Treem e Hagai Levi l’hanno trovata. Avevano già lavorato insieme alla serie Hbo intitolata “In Treatment”: lei era una giovane sceneggiatrice (33 anni adesso, la serie con lo psicoanalista cominciò nel 2008), lui era il creatore del successo israeliano “Be Tipul”, che alla serie americana faceva da modello.

     

    “The Affair” è una storia narrata due volte. Ma a differenza di “La pietra di Luna” – dove i narratori sono affidabili perché si alternano – ha due narratori inaffidabili. Non abbiamo elementi per credere ciecamente a Noah, e neppure per credere ciecamente a Alison. Non vale neppure scegliere il più simpatico: tutti e due sono abbastanza scostanti, alla lunga (non è un difetto: è esattamente quel che gli sceneggiatori volevano). A complicare le cose, li vediamo entrambi interrogati da un detective, per omicidio: la passione che non uccide gli amanti ha i suoi danni collaterali.